giovedì 19 dicembre 2013

Compiti delle vacanze (video) recensione di un libro


L'articolo di Anton Ego

  • Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco, pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio; prosperiamo grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni: al nuovo servono sostenitori! Ieri sera mi sono imbattuto in qualcosa di nuovo, un pasto straordinario di provenienza assolutamente imprevedibile. Affermare che sia la cucina, sia il suo artefice abbiano messo in crisi le mie convinzioni sull'alta cucina, è a dir poco riduttivo: hanno scosso le fondamenta stesse del mio essere! In passato non ho fatto mistero del mio sdegno per il famoso motto dello chef Gusteau "Chiunque può cucinare!", ma ora, soltanto ora, comprendo appieno ciò che egli intendesse dire: non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque. È difficile immaginare origini più umili di quelle del genio che ora guida il ristorante Gusteau's e che secondo l'opinione di chi scrive, è niente di meno che il miglior chef di tutta la Francia! Tornerò presto al ristorante Gusteau's, di cui non sarò mai sazio.
In many ways, the work of a critic is easy. We risk very little, yet enjoy a position over those who offer up their work and their selves to our judgment. We thrive on negative criticism, which is fun to write and to read. But the bitter truth we critics must face, is that in the grand scheme of things, the average piece of junk is probably more meaningful than our criticism designating it so. But there are times when a critic truly risks something, and that is in the discovery and defense of the new. The world is often unkind to new talents, new creations. The new needs friends. Last night, I experienced something new; an extraordinary meal from a singularly unexpected source. To say that both the meal and its maker have challenged my preconceptions about fine cooking, is a gross understatement. They have rocked me to my core. In the past, I have made no secret of my disdain for Chef Gusteau's famous motto, "Anyone can cook". But I realize — only now do I truly understand what he meant. Not everyone can become a great artist, but a great artist can come from anywhere. It is difficult to imagine more humble origins than those of the genius now cooking at Gusteau's, who is, in this critic's opinion, nothing less than the finest chef in France. I will be returning to Gusteau's soon, hungry for more.

venerdì 6 dicembre 2013

Il cavallo di Troia 1 - La pazzia di Aiace

Aiace (in greco antico Αἴας, Aias) è una tragedia di Sofocle. Non ci sono dati certi sulla sua prima rappresentazione, ma si ritiene che sia avvenuta intorno al 445 a.C.

Achille è morto, Polissena l'ha ingannato e Paride lo ha colpito a morte a tradimento. I due Atridi, Agamennone e Menelao, capi dell'esercito greco, affidano le armi del defunto eroe a Ulisse. Qualcuno, però, non è d'accordo: in quanto amico del Pelide, Aiace Telamonio, re di Salamina, è convinto che gli dovessero essere assegnate di diritto, anche perché era il più simile al defunto Achille in forza e valore combattivo di tutto il restante esercito greco.
Il dramma si apre con la collera di quest'ultimo, accecato da Atena. Credendo di infierire sui suoi compagni, Aiace massacra i buoi e i montoni degli Achei.
La dea esorta Ulisse ad approfittare della situazione per consumare la sua vendetta, ma Ulisse rifiuta, non volendo infierire, e approfittandone per dar voce al pensiero sofocleo riguardo alla condizione dell'uomo e alla sua sorte effimera.
Tornato in sé, e pieno di vergogna, Aiace decide di riscattare il suo onore e la reputazione, la τιμή (tīmé, l'onore ed il rispetto su cui verteva l'istituto sociale della cosiddetta "società di vergogna", tipico delle istituzioni umane più arcaiche) della sua famiglia con il suicidio, che gli avrebbe garantito il κλέος (kléos, la gloria imperitura dopo la morte). [...]
Il dramma si chiude con la scoperta di Aiace morto e la disputa tra Teucro, Menelao e Agamennone. Il re atride rifiuta che gli venga data sepoltura, Teucro al contrario vuole onorare il fratello. Determinante è l'intervento di Ulisse: nonostante la disputa avuta con Aiace, consiglia Agamennone di lasciare che Teucro renda l'ultimo omaggio al defunto.


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SOFOCLE - AIACE
Testo completo in italiano della tragedia


ODISSEO
Grido d'Atena, la più mia degli dèi! Ah sì, mi si svela all'orecchio il messaggio - lei è indistinta, che importa - lo catturo, mi penetra: da metallica gola, quasi, di tromba perfetta. Come sempre m'hai scrutato a fondo, tu. Sì, sto puntando, accerchiando uno che detesta noi tutti, Aiace, l'uomo dello scudo. Certo, lui. Non un altro: lo pedino da un pezzo. Vedi, questa notte ci ha diretto contro un gesto assurdo. Sempre se è sua l'azione. Vedi, non c'è prova che inchiodi: si tenta, alla cieca. Allora mi offro, mi accollo io quest'impegno. Che massacro. Proprio un attimo fa lo scopriamo: un macello totale, per terra, delle bestie razziate, dei vaccari di guardia, là in mezzo. Colpo di mano. Circola voce che il criminale sia quello là dentro. L'ha intravisto un teste oculare e m'informa, chiarisce: tripudiava su e giù per lo spiazzo, solo, lui e la spada calda grondante. Di volo io scatto sui segni di passi: i suoi, qua e là, li decifro, su altri mi blocco, non ho elementi, chissà di chi sono. Perfetto, il tuo intervento: il tuo polso, lo sento, mi pilota costante nelle mie scelte di ieri, e in quelle future.
ATENA
L'ho capito, Odisseo. T'ho incrociato, per tempo, per esserti amica nella tua battuta.
ODISSEO
Di', tu che mi possiedi, mira preciso il mio sforzo?
ATENA
È così: questa è opera sua, del tuo uomo.
ODISSEO
E il motivo, del suo scatto demente?
ATENA
Rabbia. Rabbia pesante, per le solite armi di Achille.
ODISSEO
Ma su bestie..? Che è il suo piombare su bestie?
ATENA
Illusione, d'imbrattare le mani su di voi massacrati.
ODISSEO
Di', era impulso cosciente, proprio contro gli Argivi?
ATENA
Già azione concreta, se non ero attenta, io.
ODISSEO
Com'è esplosa la furia, l'istinto aggressivo?
ATENA
Losco, col buio, vi precipita addosso. Solo.
ODISSEO
Di', ci fu addosso, ormai sul traguardo?
ATENA
Già a contatto dei capi, là sulla soglia.
ODISSEO
E ferma il gesto omicida a mezz'aria. Che fu?
ATENA
Io. L'inchiodo. Nel cervello gli sferro visioni asfissianti, nella sua frenesia disperata. Lo dirotto su pecore e capre, poi sul bestiame di guerra, massa ancora comune, sotto vaccari guardiani. Cadde là in mezzo: tosatura di morte, folla di corna, gorgo, a schiantare le schiene. Per lui, ammazzava i due Atridi stretti sotto i suoi colpi: poi un altro, addosso, un altro dei capi d'armata. Illuso. No, ero io! Col suo cervello malato, ossessionato, io lo frustavo, l'affondavo nella trappola cupa. Alla fine la smise con quel suo ammazzare. Ora tocca alle bestie vive: le lega coi lacci e col grosso del gregge le tira al coperto. Nemici cattura, per lui' non la massa bovina! Anche adesso continua l'osceno supplizio delle bestie inchiodate, sotto la tenda. Vieni. Mostrerò anche a te la demenza di Aiace, lampante. Guardala bene, e gridala ai Greci del campo. Sta' calmo, resisti. Non prenderlo come una disgrazia tua, il contatto con lui: io faccio barriera al bagliore stravolto degli occhi. Non vedrà che sei tu.





venerdì 22 novembre 2013

Temi di recupero per la IDES

Scegli una delle seguenti descrizioni (possibilmente non la stessa che hai fatto male nel precedente compito in classe). ricordati di indicare: autore della descrizione, punto di vista (oggettivo/soggettivo), destinatario, scopo della descrizione (informare, trasmettere emozioni o persuadere). So che anche se non ci sono io in aula potete riuscire bene; fate i buoni.

1. Le famiglie moderne hanno architetture spesso assai complesse con madri, padri, fratelli, sorelle, sorellastre, fratellastri, nonni e animali Descrivi la tua, adottando il p.d.v. di uno qualsiasi dei suoi componenti (non vale il tuo)


2. Descrivi due o tre luoghi che senti particolarmente cari e spiega rapidamente perché. Fa' attenzione a descrivere bene il posto e non la prima volta che l'hai visto e 

3. Tu e il tuo animale, il tuo animale e te. Descrivetevi reciprocamente in una sorta di intervista doppia.

4. Descrivi te stesso come ti vedrebbe un extraterrestre alto sette centimetri e di aspetto completamente diverso dagli esseri umani. ricorda che agli occhi del tuo descrittore tu sei una creatura enorme: procedi perciò dal basso verso l’alto.

giovedì 21 novembre 2013

Tema del 21 novembre 2013


Scegli una delle seguenti descrizioni. Prima di iniziare a scrivere ricordati di indicare: autore della descrizione, punto di vista (oggettivo/soggettivo), destinatario, scopo della descrizione (informare, trasmettere emozioni o persuadere). E' consigliata, soprattutto nel primo caso, l'elaborazione di una cornice, che però non deve superare la metà del tema. La parte più importante ai fini della verifica è la descrizione.
-      Descrivi te stesso come ti vedrebbe un extraterrestre alto sette centimetri e di aspetto completamente diverso dagli esseri umani. ricorda che agli occhi del tuo descrittore tu sei una creatura enorme: procedi perciò dal basso verso l’alto.
-     Descrivi come, con il cambio di stagione, si modifica l’aspetto della tua città: descrivi il paesaggio urbano ed extraurbano e osserva come cambiano le abitudini delle persone (giovani, anziani e - perché no? - animali)

-         Descrivi due o tre luoghi che senti particolarmente cari e spiega rapidamente perché.

Vi ricordo che, nella correzione, saranno prese in considerazione le quattro competenze fondamentali:
competenza testuale, ovvero il rispetto delle consegne e la coerenza e coesione nello svolgimento 
competenza grammaticale, cioè l’ uso delle strutture grammaticali e del sistema ortografico e interpuntivo; 
competenza lessicale-semantica, riferita alla disponibilità di risorse lessicali e creatività; 
competenza ideativa, che corrisponde all’organizzazione di argomenti pertinenti su un’idea di fondo 

giovedì 31 ottobre 2013

CLASSE I DES

1) Il successo nella vita è davvero un'obiettivo da raggiungere a tutti i costi? Oppure ci sono dei limiti che per nessun motivo si devono superare? Parla di cosa consideri sia il successo, delle strade da percorrere 
per raggiungerlo e, infine, parla  di te: a che punto sei?

2) Quest'anno, a scuola, è vietato fumare. Da nessuna parte. Non si deve fumare in bagno, e questo lo si sapeva già da un pezzo, non si deve fumare sotto le tettoie, e questo lo si poteva capire anche prima guardando le facce dei non fumatori fendere le nebbie perenni all'ingresso del Liceo; non si deve fumare nemmeno negli spazi aperti e questa, invece, è una novità.
La direttiva è l'ulteriore passo di una presa di coscienza iniziata dieci anni fa con il bando del fumo dai locali pubblici, e non è detto che sia l'ultimo. Tu come hai vissuto questo cambiamento? A distanza di un mese cosa hai da dire sull'applicazione della normativa sul fumo voluta dal Ministro della Salute?


3) Studiando l'Epica hai imparato che le prime cose che gli uomini hanno scritto non appena è stata inventata la scrittura sono state storie di eroi e di modelli esemplari. Allo stesso modo degli antichi aedi, elabora un componimento su una persona, del presente o del passato che consideri un modello di vita e spiega il perché.

venerdì 18 ottobre 2013

temi

CLASSE I Chic

1) Giusto ieri le classi prime del Liceo, come ultimo aspetto del Progetto Accoglienza,  si sono riunite al campo "I. Conti" per una giornata lontano dai libri e dedicata all'atletica e alla socializzazione. Lo sport, infatti, può essere tante cose: attività agonistica da professionisti, competizione da dilettanti, gioco, divertimento, ricerca di bellezza fisica e di muscoli, occasione per conoscersi e per crescere insieme. Quale di queste funzioni ritieni prevalente nella società, quale per i giovani, e quale per te?

2) Giusto ieri le classi prime del Liceo, si sono ritrovate al campo "I. Conti" per una giornata lontano dai libri e dedicata all'atletica e alla socializzazione. Era l'ultimo momento del Progetto Accoglienza. A distanza di un mese cosa capisci sia cambiato nella tua vita. inizia il tuo tema così:
        Un mese e mezzo fa non avrei mai pensato che

3) Studiando l'Epica hai imparato che le prime cose che gli uomini hanno scritto non appena è stata inventata la scrittura sono state storie di eroi e di modelli esemplari. Allo stesso modo degli antichi aedi, elabora un componimento su una persona, del presente o del passato che consideri un modello di vita e spiega il perché.



giovedì 19 settembre 2013

le migrazioni che hanno fatto la storia (A. Brusa, 2010)



Le migrazioni che hanno fatto la storia (Antonio Brusa, Recanati, 2010)

ICES - Scrittura collettiva Book vs Ebook


La peculiarità dell'applicazione Googledocs è di risiedere sul server Google ed essere lanciata da remoto, quindi non richiede l'installazione di alcun software sul computer locale. Non solo si possono utilizzare i file da qualunque computer si colleghi a internet, ma li si può con altri utenti invitati con diversi livelli di privilegio (sola lettura, accesso in scrittura ad alcune parti o a tutto il documento). 
Questa caratteristica ci sarà molto utile, perché ci consentirà di lavorare tutti alla scrittura dello stesso testo (crowdsourcing). Non è difficile capirne l'utilità per le ricerche e i lavori di gruppo 

Stavolta lavoreremo a coppie sullo stesso documento, poi  correggeremo insieme. 
Cliccate sul link e buon lavoro!
Book Vs Ebook




domenica 15 settembre 2013

la IDes nel primo giorno di scuola

La peculiarità dell'applicazione Googledocs è di risiedere sul server Google ed essere lanciata da remoto, quindi non richiede l'installazione di alcun software sul computer locale. Non solo si possono utilizzare i file da qualunque computer si colleghi a internet, ma li si può con altri utenti invitati con diversi livelli di privilegio (sola lettura, accesso in scrittura ad alcune parti o a tutto il documento). 
Questa caratteristica ci sarà molto utile, perché ci consentirà di lavorare tutti alla scrittura dello stesso testo (crowdsourcing). Non è difficile capirne l'utilità per le ricerche e i lavori di gruppo 


Stavolta lavoreremo a coppie sullo stesso documento, poi  correggeremo insieme. 
Cliccate sul link e buon lavoro!
Il nostro primo giorno di scuola

venerdì 13 settembre 2013

ICES - imprarare a leggere e scrivere

Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici. Una volta che li avete inventati, non potete fare di meglio. Non potete fare un cucchiaio che sia migliore del cucchiaio. […] Il libro ha superato le sue prove e non si vede come, per la stessa funzione, potremmo fare qualcosa di meglio. Forse evolverà nelle sue componenti, forse le sue pagine non saranno più di carta. Ma resterà quello che è
                            J. C. Carrière, U. Eco, Non sperate di liberarvi dei libri, Bompiani, Milano, 2009

che ve ne pare delle parole di Eco? avrà ragione, e agli e-book ha pensato. Ve lo dico io ci ha pensato eccome. Già nel 2001 se ne parlava a un seminario dell'Università di Urbino e mi ricordo, io ero in platea quella volta, che il prof. Eco aveva presentato un elogio della tecnologia del libro in confronto con gli e-book. Allora era quasi un esercizio di fantascienza, ma le cose che vennero fuori da quella discussione sono ancora perfettamente attuali. A proposito, perché non ci provate anche voi a fare un confronto tra libro elettronico e libro di carta? quando e meglio l'uno e quando è meglio l'altro?


Non si scrive bene, se non si legge e, se si legge, tanto vale imparare a leggere bene. 

Firenze dilagava fuori delle mura, come un fiume che avesse rotto gli argini. dentro, poi, era una specie di alveare impazzito. dalle botteghe, dagli androni, dai cortili usciva un rumore ininterrotto che invadeva le strade un sottofondo sonoro di grida richiami tonfi cigolii...
per le vie e le piazze era un viavai continuo di persone a piedi un traffico di carri e di birocci una sfilata di cavalcature e portantine. benché le strade fossero lastricate si procedeva a rilento in mezzo a quel trambusto. dai vicoli laterali si sprigionavano a volte puzze acide che irritavano gli occhi e la gola. ma anche tra quei miasmi si respirava una sensazione di ricchezza. Le strade centrali ampie e rettilinee, erano una vera ostentazione di lusso

che ne dite, proviamo a metterci qualche virgola? proviamo qui.

se, invece, volete saperne di più del romanzo da cui è tratto questo brano, sappiate che si intitola Il maestro dei santi pallidi, che è stato scritto da Marco Santagata e che, nel 2003, ha vinto il Premio Campiello, che non devo certo presentarvi io.
All'inizio della storia troviamo il protagonista, Cinin, “seduto a cavalcioni di un ramo, con la corda intorno al collo”. Molti anni prima, proprio sulle radici di quell’albero era inciampato mentre scappava dal suo padrone che voleva punirlo per aver abbandonato il pascolo. Invece di guardare le mucche, Cinin era andato a guardare gli affreschi alla Riva, dove c’era una delle rare chiese affrescate dell’epoca. Era rimasto incantato. Siamo sull’Appennino modenese, nel Quattrocento. Veniamo a sapere fin dalle prime pagine che Cinìn da bastardo analfabeta guardiano di vacche è diventato un pittore piuttosto affermato. Allora, come mai sta per suicidarsi? E soprattutto, come ha potuto, da questi miseri blocchi di partenza, diventare un artista?



giovedì 12 settembre 2013

LEZ.0: AUTOPRESENTAZIONI


Quando si cominciano le lezioni con un nuovo gruppo e gli studenti non si conoscono tra loro - è un'ottima, forse l'ultima occasione per fare un po' di comunicazione "autentica".  In questo nuovo Liceo sarebbe bello creare un'atmosfera divertente e aperta alla comunicazione, perché abbiamo la fortuna di avere un'aula multimediale e dobbiamo imparare a sfruttarla con le pratiche didattiche può adatte, che non sempre sono quelle tradizionali. Spesso ci ritroveremo a lavorare in gruppo perché "l'apprendimento avviene in modo più efficiente se chi apprende è coinvolto nella produzione di oggetti tangibili". Per fare questo dobbiamo conoscerci e imparare, da subito, a collaborare con ordine.

1. CONOSCENZA RECIPROCA
IDES
11rompighiaccio.png
Per ogni linea un’informazione random su di te, secondo il livello della platea. Gli alunni con ordine provano a capire la  domanda legata alla risposta.
Ogni studente di prepari uno schema simile per giocare a coppie o piccoli gruppi.
Ciascuno provi a presentare un compagno.


ICES
Informazioni ingannevoli. Una delle prime cose che impareremo in italiano è che non sempre possiamo fidarci di quello che ci dice il narratore. Forse è ignorante o, forse, si diverte a ingannarci. Lo stessa cosa ci succede ogni giorno anche il primo giorno di scuola, per esempio, quando gli alunni si sono presentati indicando nome, cognome, età e provenienza e tra caratteristiche personali: due vere e una falsa



2. AUTOPRESENTAZIONE

Intanto possiamo leggere qualche esempio di auto presentazione alla pagina 44 di questo libro di Paola Nicolini che si intitola "Che pensi di te stesso?" poi compilate in un foglio di carta il seguente questionario:

NOME COGNOME CITTA' DI PROVENIENZA    ____________________________ _____________



HAI ESPERIENZA DI DIDATTICA MULTIMEDIALE? (fa' qualche esempio) ___________________ _________________________________
CONOSCENZE INFORMATICHE Dati un voto da 1 a 4 e, sulla linea, scrivi i software che conosci  (1= non conosco 2=conosco 3=so usare 4=so usare bene)
word processor ________________ ________________________________________
trattamento immagini ________________ ____________________________________
montaggio e produzione video________________ ______________________________
progettazione database _______________ ____________________________________
mapping _______________ _______________________________________________
blog _______________ __________________________________________________
presentazioni _______________ ____________________________________________
cloud computing _______________ _________________________________________
siti preferiti _______________ ______________________________________________







sabato 17 agosto 2013

Zio Lupo, una fiaba horror

Zio Lupo 

C’era una bambina golosa. Un giorno di Carnevale la maestra dice alle bambine:
- Se siete buone a finire la maglia, vi do le frittelle.
Ma quella bambina non sapeva fare la maglia, e chiese d’andarsene al camerino. Si chiuse là dentro e ci si addormentò. Quando tornò in scuola, le altre bambine si erano mangiate tutte le frittelle. E lei andò a piangere da sua madre e a raccontarle tutta la storia.
- Sta’ buona, poverina. Ti farò io le frittelle – disse la mamma.
Ma la mamma era tanto povera che non aveva nemmeno la padella.
– Va’ da Zio Lupo, a chiedere se ci presta la padella.
- La bambina andò alla casa di Zio Lupo. Bussò: « Bum, bum, ».
- Chi è?
- Sono io!
- Tanti anni, tanti mesi che nessuno batte più a questa porta! Cosa vuoi?
- Mi manda la mamma, a chiederVi se ci prestate la padella per fare le frittelle.
- Aspetta che mi metto la camicia.
“Bum, bum”.
- Aspetta che mi metto i mutandoni.
“Bum, bum”.
- Aspetta che mi metto i pantaloni.
“Bum, bum»
- Aspetta che mi metto la gabbana.
Finalmente Zio Lupo aperse e le diede la padella.
– Io ve la presto, ma di’ alla mamma, che quando me la restituisce me la mandi piena di frittelle, con una pagnotta di pane e un fiasco di vino.
- Sì, sì, vi porterò tutto.
Quando fu a casa, la mamma le fece tante buone frittelle, e ne lasciò una padellata per Zio Lupo. Prima di sera disse alla bambina:
- Porta le fritelle a Zio Lupo, e questa pagnotta di pane e questo fiasco di vino.
- La bambina, golosa com’era, per strada cominciò ad annusare le frittelle.
- Oh che buon profumino! E se ne assaggiassi una
E una due tre se le mangiò tutte, e per accompagnarle si mangiò tutto il pane e per mandarle giù si bevve anche il vino. Allora per riempire la padella, raccolse per strada delle polpette di somaro. E il fiasco lo riempì d’acqua sporca. E per pane fece una pagnotta con la calcina di un muratore che lavorava per la strada. E quando arrivò da Zio Lupo gli diede tutta questa brutta roba.
Zio Lupo assaggia una frittella.
– Puecc! Ma questa è polpetta di somaro!
Va subito per bere il vino per togliersi il sapore di bocca.
– Puecc! Ma questa è acqua sporca!
Addenta un pezzo di pane e:
- Puecc! Ma questa è calcina!
Guardò la bambina con occhi di fuoco e disse:
- Stanotte ti vengo a mangiare!
La bambina corse a casa da sua mamma:
- Stanotte viene Zio Lupo e mi mangia!
La mamma cominciò a chiudere tutti i buchi della casa perché Zio Lupo non potesse entrare, ma si dimenticò di chiudere il camino. Quando fu notte e la bambina era già a letto, si sentì la voce di Zio Lupo da fuori.
– Adesso ti mangio! Sono vicino a casa!
Poi si sentì un passo sulle tegole:
- Adesso ti mangio! Sono sul tetto!
Poi si sentì un gran rumore giù per il camino:
- Adesso ti mangio! Sono nel camino!
- Mamma, mamma c’è il lupo!
- Nasconditi sotto le coperte!
- Adesso ti mangio! Sono nel focolare!
La bambina si rincattucciò nel letto, tremando come una foglia.
- Adesso ti mangio! Sono nella stanza!
La bambina trattenne il respiro.
- Adesso ti mangio! Sono ai piedi del letto! Ahm, che ti mangio!
E se la mangiò.
E così Zio Lupo mangia sempre le bambine golose!


Per comprendere il significato di Zio Lupo, è importante ascrivere la fiaba al suo contesto, come si diceva, di cultura contadina, fatta di tradizione orale. La fiaba, come molte altre ascrivibili a questo codice semantico, ruota intorno al binomio natura-cultura: il suo messaggio è quello relativo alla necessità di lasciare il proprio stato ‘selvaggio’ e avvalersi del codice culturale per non finire confusi e persi nello stato di natura (divorati). Nella storia, infatti, la bambina è golosa (attributo spesso dato alle donne, in quanto nutrici) e non abile da un punto di vista tecnico. Il suo errore è quello di non tenere in debita considerazione lo zio Lupo, personaggio quasi sciamanico, parente ma tenuto alla lontana, nel bosco, selvaggio ma attento alle regole: esige infatti il rispetto della parola data che costituisce un vincolo, in una cultura basata unicamente sulla comunicazione orale. La bambina sottovaluta i poteri di Zio Lupo e pensa di poterlo prendere in giro. E’ ingenua, non ha la capacità di discernimento: non sa distinguere il cibo dalle feci. A causa della sua non-adesione al codice comportamentale contadino (ossequio per il trascendente, capacità di discernimento, osservanza della parola data) deve essere punita. A nulla valgono i tentativi di difendersi tramite la parte più saggia di sé (la madre), perché il lupo entra dalla cappa del camino: dall’alto, come una divinità, come qualcosa di soprannaturale. Il messaggio della fiaba, dunque è moralistico: se non ti attieni alle ‘semplici regole contadine’, verrai punito, rischi di essere inglobato per sempre nella natura, di non far parte della cultura.
(Mariolina Gaggianesi)



Una bambina golosa, relazione con l’avidità, siamo a carnevale, la maestra vuole dare alle bambine le frittelle se fanno le brave. Ma la bambina non sapeva fare la maglia, incapacità tecnica.
Si chiude dentro al bagno e si addormenta e le altre bimbe si mangiano tutte le frittelle, quindi racconta tutto alla mamma che le dice di andare da zio lupo, parentela, struttura familiare, l’emirato?è una forma di matrimonio per cui quando il marito muore il fratello di questo può diventare marito della vedova. Zio lupo è una sorta di iniziatore che vive nella foresta, è depositario della padella per le frittelle, resto di cultura antica, ha delle caratteristiche sciamaniche. 
La bambina batte alla porta di zio lupo. Apre e le da la padella. Altro elemento culturale: deve restituirla piena di frittelle e vino,(è simile a cappuccetto rosso), tutto cibo cotto. Le fiabe girano spesso intorno alla produzione di cibo. 
La bimba è golosa e si mangia tutto invece di pensare allo scambio. Zio lupo vuole il baratto, uno scambio, a volte c’è chi per me compra un bene, ma ora c’è uno scambio diretto. La bimba non tiene fede alla parola data, che era molto importante nella cultura orale,in quanto non poteva venire scritta la parola data. L’insegnamento è fatto in modo indiretto, l’apprendimento della regola avviene dal confronto con il comportamento positivo (la mamma che cucina per zio lupo). Ma la bimba si mangia tutto, frittelle, pane e vino, poi si rende conto dello sbaglio, non sa cucinare e non tiene fede alla parola data e in più c’è disprezzo per zio lupo.
Lei si allontana da casa,gioca come una bambina e disprezza zio lupo, che ha legami con il mondo trascendente, mancanza di rispetto nei confronti dei morti. Per riempire la padella raccoglie delle polpette di somaro (coprofilia nei bambini che prelude alla scoperta sessuale). Questa fiaba non è solo per bambini ma anche per adulti. La bambina non sa distinguere il cibo dalle feci, tutto può essere scambiato con tutto a un livello di parità.
È molto importante la tassonomia nella cultura orale perché mancando i documenti scritti vengono definite le cose a livello verbale. Troviamo vari nomi per definire il colore del mare ad esempio. Essere capaci di definire è una delle regole fondamentali. 
La bambina dimostra di far parte ancora del mondo della natura, bambina ancora grezza non ha ancora incorporato i valori culturali e va a finire nella pancia del lupo, serve per far capire che chi si comporta così fa ancora parte del mondo della natura. 
Tutte le fiabe di divoramento strutturalmente sono simili, vogliono definire cos’è la natura, è la non cultura. La cultura contadina ordina la realtà secondo le regole per cui il bambino fa ancora parte della natura. Il divoramento avviene quindi siamo perfettamente nelle radici storiche sottolineate da Propp.
(Il capitolo legata allo strutturalismo di Nicola Martino va fatto bene.)
Arriva a questo punto la punizione, il cattivo, chi non si comporta secondo la trasmissione dei valori culturali, viene incasellato come modello da non seguire. 
Metalinguaggio: essere divorati dal lupo, il pensiero che sta dietro la fiaba è che se non applichi le regole della cultura contadina verrai punito. Questa lettura strutturale del racconto è fondamentale per essere applicata ovunque c’è un racconto. 
La bambina usa acqua sporca per il vino, il pane è sostituito dalla calcina dei muratori. Il lupo con occhi di fuoco, particolare interessante, gli dice stanotte ti vengo a mangiare. La mamma chiude porte e finestre ma si dimentica l’apertura del camino. 
Cos’è la cappa del camino?? È l’asse verticale alto basso che segnala la trascendenza. In Grimm questi particolari non ci sono. Astuzia del lupo, del soprannaturale, alla fine c’è sempre una variabile che appartiene al soprannaturale che all’uomo sfugge e che fa si che il lupo possa avere la meglio sulla bambina. 
La cultura contadina saggiamente evita di essere ipocrita e riconosce la violenza perché non si può far finta che non ci sia. I bambini sono angioletti ma anche diavoletti e bisogna dar loro strumenti per riconoscere la violenza perché se no poi esce e succedono dei disastri. La fiaba è un ottimo strumento. Tutto oggi deve essere nascosto dietro ipocrisia buonista. La donna,perché alimentatrice, si pensa anche come golosa.


di Selma Aslaoui

giovedì 15 agosto 2013

Fiabe abruzzesi raccolte da Italo Calvino

Gobba, zoppa e collotorto

C'era un re che faceva quattro passi.
Guardava la gente,le rondini, le case, ed era contento.
Passò una vecchietta, che andava per i fatti suoi, zoppicava un poco da una gamba, ed era anche un po' gobba,e in più aveva il collo torto.
Il re la guardò e disse:
-Gobba, zoppa e collotorto!Ah...Ah.. Ah!-e le scoppiò a ridere in faccia.
Quella vecchietta era una fata. Fissò il re e disse:
-Ridi, ridi ne riparleremo domani.
E il re scoppiò in un'altra risata:
-ah!, ah!, ah!
Questo re aveva tre figlie, tre belle ragazze.
L'indomani le chiamò per andare a spasso insieme.
Si presentò la figlia maggiore. E aveva la gobba.
- La gobba ?-disse il re - E come ti e' venuta?
-Ma ,- disse la figlia- la cameriera non m'ha rifatto bene il letto, così stanotte m'è venuto tanto di gobba.
Il re cominciò a passeggiare su e giù per la sala; si sentiva nervoso.
Fece chiamare la seconda figlia, e questa si presentò col collo torto.
- Cos'è questa storia?- disse il re - che c'entra adesso il collo torto?
-Sai,- rispose la seconda figlia- la cameriera pettinandomi m'ha tirato un capello..... E io sono rimasta così col collo torto.
- E questa? - fece il re vedendo la terza figlia che s'avanzava zoppicando -E questa perchè zoppica adesso?-
-Ero andata in giardino,- disse la terza figlia- e la cameriera ha colto un fior di gelsmino
e me l' ha tirato.
M'è cascato su un piede e son rimasta zoppa.
- Ma chi è questa cameriera?- gridò il re- Che venga in mia presenza!
Fu chiamata la cameriera: era gobba, zoppa e torta nel collo.
Era la vecchietta del giorno prima! il re la riconobbe subito e gridò:
-Fatele una camicia di pece! e poi mettetela in prigione!
La vecchietta si fece piccina piccina, la sua testa diventò aguzza come un chiodo.
C'era un buchino nel muro e la vecchia ci si ficcò dentro, passò dall'altra parte e sparì, lasciando lì solo la gobba, il collo torto e il piede zoppo.



giovedì 4 luglio 2013

Alcune fiabe romane raccolte da Fiabe di Calvino

IL RE SUPERBO (ROMA)


C’era una volta una mercante che aveva una figlia e la sera la portava in società.
Una sera la figlia, stando in società, vide un signore che tirava fuor di tasca una tabacchiera e prendeva tabacco, e sul coperchio della tabacchiera c’era un ritratto. Era il ritratto del figlio del Re di Persia con sette veli sul viso, e la ragazza se ne innamorò.
Tornò a casa e disse a suo padre: - Papà, mi sono innamorata del figlio del Re di Persia; andatemelo a chiedere per sposo e portategli il mio ritratto. 
Il figlio del Re di Persia era famoso per due cose: per quant’era bello e per quant’era superbo. Era tanto bello che per la sua bellezza esagerata non poteva essere visto da nessuno, anzi, per paura che qualcuno lo vedesse, portava sette veli sulla faccia, e stava sempre chiuso nella stanza del trono, senza parlare mai con anima viva, tranne che con sua madre.
Il mercante, quando sua figlia gli ebbe detto quello, le risposte: - Ragazza mia, è meglio che questo figlio del Re di Persia tu te lo togli dal cuore.
Ma la ragazza ormai era presa da una smania e non pensava ad altro. Cominciò a mettere in croce il padre, e tanto fece e tanto disse che il mercante, per non vederla più struggersi, decise d’andare lui in persona a trovare questo figlio del Re di Persia con sette veli sul viso, e di dirgli dell’amore di sua figlia per lui.
Lo ricevette la Regina, prese il ritratto della ragazza e andò di là a mostrarlo al figlio.
Lo vuoi vedere, figlio mio, quel ritratto?
Ditegli che lo butti nel gabinetto.


La Regina andò a riferire, e quel povero padre a supplicarla:
Ma quella povera figlia mia si strugge in lagrime!
Figlio mio, - andò a dire la madre al Re superbo, - dice che la ragazza si strugge in lagrime!
Allora dàgli questi sette fazzoletti!
Ma mia figlia s’ammazza! – disse il povero padre quando la Regina gli portò i fazzoletti.
Ha detto che s’ammazza, - fu riferito al Re superbo.
Allora dàgli questo coltello che s’ammazzi pure.

Con queste crudeli risposte, il vecchio ritornò da sua figlia. La figlia restò un po’ in silenzio, poi disse: - Padre, qui bisogna essere forti. Datemi un cavallo, una borsa di denari, e lasciatemi partire.
Ma sei matta?
Matta o non matta, voglio andare per il mondo.

Partì e andò per il mondo. Le si fece notte in mezzo alla campagna. Vide un lume. C’era una casa in cui una donna vegliava il figlio che stava per morire. La ragazza disse: - Andate a riposare; lo veglio io vostro figlio.
Mentre vegliava, le si spense il lume, e restarono tutti d’un colore. Cerca a tentoni un cerino e non lo trova. 
«Bisogna provare qui intorno se c’è qualcuno che m’accende un lume ». Esce di corsa, gira intorno e laggiù vede un filo di luce. S’avvicina, e c’è una vecchia che metteva legna sotto una caldaia d’olio.
Nonna mia, mi fai accendere il lume?
Se m’aiuti, - le rispose la vecchia.
Aiuti a che?
A fare la fattura a un giovane, il figlio di quei contadini che abitano là, - e indicò la casa dove c’era quel ragazzo moribondo.
Quando quest’olio s’è consumato, il giovane è morto.
T’aiuto, - disse la ragazza, - io metto la legna e tu guarda se la caldaia bolle.


La vecchia si sporge a vedere se la caldaia bolle e la ragazza l’agguanta per gli stinchi e la caccia dentro l’olio a capofitto finché non la sentì stecchita. Poi accese il lume, spense il fuoco, e corse a casa, dove il giovanotto bell’e guarito s’alzava già dal letto. Feste, allegrezza in quella povera casa. – Ma io vi sposo! – diceva il giovanotto. – Ma no, lasciate andare, - disse lei, e il giorno dopo, carica di regali, proseguì il suo viaggio.
Arrivò in un paese e si mise a servire in una casa di moglie e marito. Il marito, poveretto, erano anni che non s’alzava dal letto, malato di non si sa qual malattia, che nessun medico capiva. Alla ragazza, stando a servizio in quella casa, cominciarono a venire sospetti sulla moglie. Cominciò a tenerla d’occhio, e una sera si nascose dietro una tenda per vedere cosa faceva di notte. Ecco che la moglie arriva, sveglia il marito, gli dà da bere una tazza d’oppio, e appena lui si addormenta, apre uno scrignetto e dice: - Venite, figlie care, su che è ora. Dallo scrigno uscirono fuori un groviglio di vipere, saltarono addosso all’addormentato e cominciarono a succhiargli il sangue. Quando le vipere furono sazie, la moglie le staccò, prese una piccola marmitta che teneva nascosta dietro un quadro, fece sputare alle vipere tutto il sangue succhiato, s’unse ben bene i capelli, ripose le vipere e disse:
Sopra l’acqua e sopra il vento,
Portami al noce di Benevento.
E sparì.
La ragazza, che fa? S’unge ben bene i capelli anche lei con quel sangue della marmitta, ripete le parole della donna, e tutt’a un tratto si trovò dentro una botte piena di streghe che ballavano e facevano sortilegi e incantesimi. Appena si fece giorno, la ragazza, per trovarsi a casa prima della padrona, pensò: « Qui bisogna trovare la controparola magica ». E provò a dire:
Sotto l’acqua e sotto il vento,
Lontan dal noce di Benevento
E di colpo si ritrovò a casa. Quando la padrona ritornò, la trovò che riposava come se non fosse successo niente.
Ma la mattina dopo la ragazza disse al padrone: - Stanotte, fate finta di bere dalla tazza che vostra moglie vi porta ma non inghiottite neanche una goccia.
Il padrone fece così e restò sveglio. Quando la moglie andò per attaccargli le vipere, saltò su e l’uccise. Non era ancora spirata che già il marito era guarito. – Come ti posso ringraziare? – disse alla ragazza. – Non andartene più via; voglio tenerti con me per sempre.
Ma lei non ne volle sapere. Si prese tutto il denaro che il padrone le diede, e si rimise in viaggio.
Cammina cammina, ecco che arrivò in un altro paese e prese alloggio in una locanda. Il padrone della locanda aveva un figlio giovanotto, che da tempo se ne stava a letto senza mangiare né bere, dormendo notte e giorno. Disse la ragazza: - Lasciate fare a me che lo guarisco.
La notte, si mise a fargli la guardia. Suonano le dieci: miete.
Suonano le undici: niente. Suona la mezzanotte, e, tunfete! Nel soffitto s’aprono due buchi, e cadono giù due fagotti, uno bianco e uno nero. Toccano terra, e il fagotto bianco diventa una bella signora, e il fagotto nero una fantesca che reggeva un vassoio con la cena. La signora diede uno schiaffetto all’addormentato e lo svegliò; poi gli apparecchiarono la tavola e cominciarono a far cena con lui come se nulla fosse. Quando si sentì cantare il gallo, la bella signora diede un altro schiaffetto al giovanotto, che subito si riaddormentò. Le due donne si raggomitolarono fino a diventare due fagotti, uno bianco e uno nero, e presero il volo per i buchi del soffitto.
A giorno, la ragazza disse ai genitori del malato: - Se volete che questo poverino vi guarisca, statemi a sentire. Dovreste fare cinque cose: primo, che tutti i galli del paese siano ammazzati; secondo, che tutte le campane siano legate; terzo che sia preparata una coperta nera con tutte le stelle ricamate sopra e sia appesa fuor della finestra; quarto, che sotto la finestra ci accendiate un falò; quinto, che teniate un muratore sul tetto, pronti per turare due buchi.
La notte dopo, le due donne-fagotto scesero nella stanza e si misero a cenare col giovane. Ogni tanto guardavano fuor della finestra, attente a vedere se schiariva, ma c’era sempre lo stellato. Aspetta e aspetta, fuori era buio, galli non se ne sentivano, galline nemmeno; le due donne-fagotto vanno alla finestra per vedere com’era che questa notte non finiva mai. Allungano una mano e vedono che quello non era il cielo ma una coperta, e la coperta cadde tutt’a un tratto scoprendo il sole già alto nel cielo. Allora tutte affannate ridiventarono fagotti e saltarono vero il soffitto. Ma il muratore intanto aveva rimesso bene tegole, travi e intonaco, e si trovarono la via sbarrata. Fanno per buttarsi dalla finestra, ma vedono il falò lì sotto. A ogni modo, scelta non ne avevano, si buttarono giù, si bruciacchiarono e scapparono via. Nella fretta, però, si erano dimenticate di suonare il solito schiaffetto al giovanotto: così lui restò sveglio, liberato dalla fattura.
I parenti corsero ad abbracciarlo pazzi dalla contentezza. – Quella ragazza! Voglio sposare quella ragazza! – fu la prima cosa che lui disse. Ma lei, cucù! era altro che aveva in testa. Ricevette un mucchio di regali anche dai locandieri e continuò il suo viaggio.
Incontrò una vecchietta. – Dove vai?
E la ragazza rispose: - Vado cercando il Re superbo.
- Senti, - disse la vecchia, - so che hai tribolato al tua parte. Eccoti questa bacchettina del comando. Chiedi quel che vuoi a lei e te lo farò. Sappi che il Re superbo sta in questo paese, _ e la vecchietta svanì. La figlia del mercante allora andò di fronte al palazzo del Re superbo, batté la bacchettina del comando per terra e disse: - Comando! Comando che subito venga su un palazzo grane come quello del Re superbo, e con finestre in numero di sette come quelle sue, ma che questo palazzo sia fatto in modiche da un capo le finestre tocchino quelle del palazzo del Re e dall’altro capo siano lontane.
E subito, di fronte al palazzo del Re ne sorse un altro, tal quale come lei aveva comandato. Era mattina e il Re superbo s’alzò e vide che in faccia al suo c’era cresciuto quel bel palazzo mai visto prima. S’affacciò e di fronte alla sua finestra c’era quella più lontana dell’altro palazzo, e affacciata c’era una ragazza tanto bella che il Re superbo, per vederla meglio, si tolse il primo dei suoi veli, e subito disse ai servitori: - Prendete i due più bei braccialetti del tesoro e portatelo a quella ragazza dirimpetto, chiedendola in sposa a nome mio.
I servitori andarono, coi braccialetti sui cuscini di velluto, a fare l’ambasciata. Ma la ragazza appena li vide rispose: - Questi braccialetti metteteveli per battenti giù al portone, che giusto ci mancano, - e li licenziò.
L’indomani la ragazza s’affacciò alla seconda finestra, e il Re superbo si levò un altro velo e s’affacciò alla seconda finestra anche lui. Poi mandò i servi a offrirle una collana di brillanti. – Questa collana, - disse lei, - mettetela come catena al cane, che lo tenete legato a una corda.
Al terzo giorno, la ragazza era alla terza finestra, e il Re superbo, senza più il terzo velo, affacciato alla terza finestra anche lui, le mandò i servitori con due orecchini di perle. – Questi orecchini, - disse lei, - metteteli come batacchi al sonaglio del cane.
Al quarto giorno, dalla quarta finestra, rispose ai servitori che portavano un prezioso scialle ricamato che lo usassero come zerbino, e al quinto giorno, poiché il Re, toltosi anche il quinto velo, le aveva mandato un anello di fidanzamento con un diamante grosso come una noce, disse che lo dessero per giocare ai bambini del portinaio.
Il sesto giorno le portarono la corona di regina. – Mettetela per treppiede sotto la pignatta.
Ma intanto erano arrivati alla settima finestra, a faccia a faccia, e il Re superbo s’era tolto dal viso l’ultimo velo, e tanto piacque alla figlia del mercante che disse: - Be’, sì che ti sposo.

E così col pane e il tozzo
Una gallina verminosa
Evviva la sposa!




LA PELLE DI PIDOCCHIO

C’era una volta un re che un giorno, mentre se n’andava a spasso lemme lemme, si trovò addosso un pidocchio. Pidocchio di re, pensò, va rispettato. E invece di spidocchiarselo via, lo tenne da conto, se lo portò alla reggia e lo mise a ingrassare. Il pidocchio divenne grasso come un gatto e stava tutto il giorno su una sedia. Poi divenne grasso come un porco e lo dovettero mettere su una poltrona. Poi divenne grasso come un vitello e lo dovettero mettere in una stalla. Ma continuava a ingrassare e neanche nella stalla ci stava più, così il re lo fece macellare. Quando fu macellato lo fece scorticare, e fece inchiodare la pelle sulla porta dl palazzo. Poi fece uscire un editto che chi avesse indovinato di che bestia era quella pelle, gli avrebbe dato sua figlia in sposa, ma chi non indovinava sarebbe stato condannato a morte.
Appena uscì l’editto, per la reggia cominciò una processione di gente che andavano per spiegar la cosa e ci rimettevano il collo. Il boia lavorava notte e giorno. La figlia del re, di nascosto dal padre, aveva un innamorato e non ebbe pace finché non riuscì a sapere, attraverso certe serve che sapevano tutto, che quella pelle era pelle di pidocchio. La sera, quando l’innamorato venne come al solito sotto la sua finestra, gli disse piano: - Domani va’ da mio padre, e digli che la pelle è di pidocchio. Quello non capiva: - Di ginocchio?
- No, di pidocchio! – disse più forte la figlia del Re. 
- Di finocchio?
- Pidocchio! Pidocchio! – gridò lei.
- ah, capito! Domani ci vediamo, - e se ne andò.
Ma sotto la finestra della figlia del Re aveva il suo banchetto un ciabattino gobbo, che s’era sentito tutta la conversazione. «Ora vediamo, - si disse, - chi ti sposa: se io o quello là». E detto fatto, senza neanche levarsi la parannanza, piglia e va dal Re.
- Sacra Corona, ho l’onore di essere venuto ad indovinare la pelle che ci avete.
- Guarda d’indovinarci, - disse il Re, - perché già tanti ci hanno rimesso il collo.
- E vediamo se ce lo rimetto anch’io, - disse il gobbo. Il Re fece portare la pelle. Il gobbo la guardò bene, l’annusò, fece come se si sforzasse di pensarci su, e disse: - Sacra Corona, io ho l’onore di dirvi che questa pelle non ci vuol tanto per uno che se ne intende a capire che bestia è: è pidocchio.
Il Re ci restò di pezza a vedere come era stato svelto il gobbo; e senza fiatare, perché parola di Re è parola di Re, chiamò sua figlia e lì su due piedi la dichiarò sposa legittima del gobbo. La poverina, che era ormai scura di sposare l’indomani il suo innamorato, piombò in una disperazione senza fine.
Il gobbetto diventò Re e lei Regina. Ma a vivere con lui, le prese una malinconia da morire. Aveva con sé una vecchia cameriera che avrebbe dato un occhio pur di vederla ridere. Una mattina le disse: - Sacra Maestà, ho visto in giro pel paese tre gobbetti buffi che ballano suonano cantano e anno sganasciare dalle risa. Vuole che li faccia salire alla Reggia così si diverte un po’ anche lei?
- Ma va’, sei matta? - disse la regina. – Ci arriva a casa il Re gobbetto, li trova qui e crede che li abbiamo fatti venire per canzonare lui!
- Non se ne prenda pena, - le disse la cameriera, - se nel frattempo venisse il Re gobbetto li nascondiamo nel cassone.
Così i tre gobbetti suonatori salirono e ne fecero quante Carlo in Francia. E la Regina, dàgli a sbudellarsi dalle risa. Sul più bello, gran scampanellata: è il Re gobbetto.
La cameriera prende i tre gobbi per la collottola, li ficca nel credenzone e chiude a chiave. – Sì, vengo, vengo! – e va ad aprire dal Re. Fecero cena e dopo cena se n’andarono a passeggio.
L’indomani era il giorno di ricevimento: ai tre gobbi non ci pensavano più. Il terzo giorno la Regina fece alla cameriera: - Ma quei gobbetti, dì, dove sono andati a finire?
La cameriera si dà una mano sulla fronte. – Uh, Maestà mia! Chi se ne ricordava più! Sono ancora là nel credenzone!
Aprono subito e che ci trovano? I tre gobbetti ingrugniti, morti stecchiti di fame e di soffocazione.
- E ora? – fece la Regina, tutta spaventata.
- Niente paura, ci penso io, - e la cameriera prese uno dei gobbi e lo ficcò in un sacco. Chiamò un facchino: - Senti, in questo sacco c’è un ladro che ho ammazzato con una sberla mentre stava rubando i gioielli della Corona -. Aprì il sacco e gli fa veder la gobba. – Allora mettitelo in spalla e senza farti vedere da nessuno buttalo nel fiume. Quando torni penserò a te.
Il facchino si carica il sacco e va al fiume. E intanto quell’ anima forcuta della cameriera caccia il secondo gobbo dentro un altro sacco, e lo mette accanto alla porta. Torna il facchino per essere pagato, e la cameriera gli fa: - Come vuoi che ti paghi se il gobbo è ancora qua?
- Ma a che gioco giochiamo? - fa il facchino. – L’ho buttato nel fiume proprio ora.
E la cameriera: - E’ segno che non l’hai buttato bene, se no non sarebbe qui.
Il facchino scuotendo il capo e bofonchiando si ricarica il sacco e se ne va. Quando torna alla Regina un’altra volta, ritrova ancora il sacco con il gobbo e la cameriera tutta arrabbiata, che gli dice: - E poi non ho ragione che non lo sai buttare a fiume! Non lo vedi che è tornato un’altra volta?
- Ma se stavolta ci avevo legato pure un sasso!
- E tu legacene due! Guarda che se il sacco ritorna qua un’altra volta, non solo non ti pago, ma ti pigli un fracco di legnate.
Il facchino si riaccolla il sacco, va al fiume, gli lega due macigni e butta in acqua il terzo gobbo. Sta a guardare bene che non riaffiora, e torna alla Reggia.
Mentre il facchino saliva le scale, il Re gobbetto saliva di casa.
Il facchino lo vede, pensa: «Dannazione! Il gobbo è scappato un’altra volta; ora quella strega mi vorrà anche bastonare!». Gli prese una stizza da mettersi a piangere; non ci vide più, agguantò il gobbo per il collo e gridò. – Ah boia di un gobbo, non ti basta che t’ho buttato tre volte nel fiume! T’ho buttato con un sasso e sei tornato a galla, t’ho buttato con due e ancora ritorni! Ma che ci hai l’anima a rovescio? Ora te l’accomodo io, - e cominciò a stringergli la gola finché non gli uscì fuori un palmo di lingua. Poi se lo prese in collo e dritto dritto andò a buttarlo al fiume con quattro massi legati ai piedi.
Quando la Regina seppe che anche suo marito aveva fatto la fine degli altri tre gobbi, coprì il facchino di regali: quattrini, pietre preziose, prosciutti, cacio, vino. Non ci stette molto a pensarci su: si sposò il suo innamorato di prima e da quel giorno visse felice e contenta.

Larga la foglia, stretta la via,
Dite la vostra che ho detto la mia.




IL SOLDATO NAPOLETANO

Tre soldati avevano disertato il reggimento e s’erano dati alla campagna. Uno era romano, uno fiorentino e il più piccolo era napoletano. Dopo aver girato la campagna in lungo e in largo, li colse il buio mentre erano in un bosco. E il romano che era il più anziano disse:
-Ragazzi, non è giro da mettersi a dormire tutti e tre; bisogna far la guardia un’ora per uno.
Cominciò lui, mentre gli altri due, buttati i sacchi per terra e srotolate le coperte, si misero a dormire. Era quasi finita l’ora di guardia, quando dal bosco uscì un gigante. 
-Che stai a fare tu qua?- chiese al soldato.
E il romano senza neanche guardarlo in faccia:-Non ho da render conto a te.
Il gigante gli si fa addosso, ma il soldato, più svelto di lui, caccia la sciabola e gli taglia la testa. Poi prende la testa con una mano, il corpo con l’altra e va buttare tutto in un pozzo. Ripulisce la sciabola ben bene, la rinfodera, e chiama il compagno che gli doveva dare il cambio. Ma prima di svegliarlo pensò: “ Meglio che non gli dica niente, se no questo fiorentino si mette paura e scappa”. Così quando il fiorentino, svegliato, gli chiese:- S’è visto niente? – Lui rispose:- No, no, è tutto calmo, - e andò a dormire.
Il fiorentino si mise di guardia, ed ecco anche che anche a lui, proprio quando stava per finire la sua ora, si presentò un gigante uguale all’altro e gli domandò:- Bè, che stai a fare qui bello?- e lui:- Non ho da render conto ne a te ne a nessuno.
Il gigante gli s’avventa contro, ma il soldato fa più presto di lui e gli stacca la testa dal corpo e butta tutto nel pozzo. Era venuta l’ora del cambio e pensò: “ A quel fifone napoletano è meglio che non gli dica niente. Se sa che qui succedono cose di questo genere, taglia la corda e buona notte al secchio”.
Difatti quando il napoletano gli chiese:- T’è successo niente?- gli rispose:- Niente; puoi stare tranquillo,- e andò a dormire.
Il soldato napoletano se ne stette di guardia per quasi un’ora, e il bosco era tutto silenzioso. A un tratto si sente un passo tra le fronde ed esce un gigante.- Che stai a fare, qui?
- E a te che importa?- fece il napoletano. Il gigante alzò su di lui una mano che l’avrebbe schiacciato come una frittata, ma il soldato più svelto di lui alzò la durlindana e gli staccò il capo di netto. Poi lo prese e lo buttò nel pozzo. Ora avrebbe dovuto svegliare di nuovo il romano, ma invece pensò: “ Prima, voglio vedere un po’ di dove veniva quel gigante>>. E si cacciò nel bosco. Scorse una luce e s’avvicinò a una casetta, mise l’occhio nel buco della serratura e vide tre vecchiette accanto al fuoco che discorrevano.
- E’ suonata mezzanotte e i mariti nostri non si vedono,- diceva una delle vecchie.
- Che gli sia successo qualcosa?- diceva un’altra.
E la terza:- Quasi quasi ci sarebbe da andargli un po’ incontro che ne dite?
- Andiamo subito,- disse la prima. – Io prendo la lanterna che fa vedere fino a cento miglia lontano.
- E io,- fece la seconda, - prenderò la spada che a ogni giro stermina un esercito.
E la terza:- E io il fucile che riesce a d ammazzare la lupa del palazzo del re.
- Andiamo,- e aprirono la porta.
Il napoletano con la sua salacca era lì dietro lo stipite che le aspettava. Uscì la prima, con la lanterna in mano e il soldato, zunfete!, la fece restar secca senza nemmeno farle dire <<amen>>. Scese la seconda e, zunfete!, andò a far terra da ceci. Scese la terza, e zunfete pure alla terza.
Il soldato ora aveva la lanterna, la spada e il fucile di quelle streghe, e volle subito provarli: “vediamo se è vero quel che stavano a dire queste tre rimbambite”. Alzò la lanterna, e vide che cento miglia lontano c’era un esercito schierato con le lance e gli scudi a difendere un castello, e sulla loggia del castello c’era una lupa incatenata con gli occhi fiammeggianti. – Leviamoci una curiosità,- disse il soldato. Alzò la spada e le fece fare un giro in aria. Allora prese il fucile e sparò alla lupa che morì sul colpo.
- Ora voglio andare a vedere da vicino,- disse il soldato.
Cammina cammina, arrivò al castello. Bussò, chiamò, nessuno rispose. Entrò, fece il giro di tutte le stanze e non si vedeva anima viva. Ma ecco che nella stanza più bella, seduta su una poltrona di velluto, c’era una bella giovane addormentata. 
Il soldato le si avvicinò, ma quella continuava a dormire. Dal piede s’era sfilata una pianella. Il soldato la raccolse e se la mise in tasca. Poi le diede un bacio e se ne andò in punta di piedi. Se n’era appena andato, quando la fanciulla si svegliò. Chiamò le damigelle che erano accanto, tutte addormentate anche loro. Anche le damigelle si svegliarono e accorsero. – L’incantesimo è rotto, l’incantesimo è rotto! Ci siamo svegliate! La Principessa s’è svegliata! Chi sarà stato il cavaliere che ci ha liberate?
- Presto,- disse la principessa,- affacciatevi alla finestra e guardate se vedete qualcuno. 
Le damigelle s'affacciarono e videro l'esercito sterminato e la lupa stecchita. Allora la Principessa disse: -Presto, correte da Sua Maestà mio padre e ditegli che qui è venuto un coraggioso cavaliere, che ha sconfitto l'esercito che mi teneva prigioniera, ha ammazzato la lupa che mi faceva la guardia, e mi ha tolto l'incantesimo dandomi un bacio -. Si guardò il piede nudo e disse: - E poi, m'ha portato via la pianella del piede sinistro.
Il Re, contento e felice, fece mettere gli affissi per tutto il paese:
Chi si presenterà come salvatore di mia figlia, gliela darò in sposa, sia egli principe o straccione.
Intanto il napoletano era tornato dai compagni ed era già giorno. Li svegliò. - Perché non ci hai chiamato prima? Quanti turni di guardia ti sei fatti? Il napoletano di raccontare tutte quelle cose non aveva voglia, e disse: - Tanto non avevo sonno, sono rimasto di guardia io.
Passarono dei giorni, e al paese della figlia del Re non s'era ancora presentato nessuno a pretendere la sua mano come legittimo salvatore. - Come va questa faccenda? - si chiedeva il Re.
Alla Principessa venne un'idea: - Papà, facciamo così: apriamo un'osteria nella campagna, con letti per dormre, e mettiamo sull'insegna: Qui si mangia, beve e dorme per tre giorni gratis. Ci si fermerà tanta gente e sapremo certo qualcosa.
Così fecero, e la figlia del Re faceva l'ostessa. Ecco che capitano i tre soldati, affamati come lupi. Passano, cantando come facevano sempre anche se tiravano la cinghia, leggono l'insegna e il napoletano fa: - Ragazzi, qui si mangia e dorme gratis.
E i compagni: - Sì, stacci a credere! Ci scrivono cosi per gabbare il prossimo.
Ma s'era fatta sull'uscio la Principessa ostessina che disse loro di entrare, che quel che diceva l'insegna era vero. I tre entrarono e la Principessa servì loro una cena da signori. Poi si sedette al loro tavolo, e disse: - Be', che ci avete di nuovo da raccontarmi, voialtri che venite da fuori? Io, in mezzo a questa campagna, non so mai niente di quel che succede.
- Che volete che vi raccontiamo, sora padrona? - fece il romano. E così, facendo il modesto, le raccontò la storia di quando era di guardia e gli s'era presentato il gigante e lui gli aveva tagliato la testa.
- To'! - fece il fiorentino, - a me pure m'è successo così, - e raccontò anche lui del suo gigante.
- E voi? - disse la Principessa al napoletano, - non v'è successo niente?
I compagni si misero a ridere. - Che volete che gli sia successo? E un fifone quest'amico nostro, che se sente muovere una foglia di notte piglia la fuga e non lo trovate più per una settimana.
- Perché lo trattate così, poveretto? - disse la giovane, e insistette che raccontasse anche lui.
Allora il napoletano disse: - Se lo volete sapere, anche a me mentre voi dormivate, m'è comparso un gigante, e l'ho ammazzato.
- Bum! - fecero i compagni sghignazzando. - Se solo lo vedevi morivi dalla tremarella! Basta: non vogliamo sentire più nulla. Andiamo a letto, - e lo lasciarono solo con l'ostessina.
L'ostessina faceva bere il napoletano e lo faceva continuare a raccontare. Così lui, a poco a poco le raccontò tutto: delle tre vecchie, della lanterna, del fucile, della spada, e della bella fanciulla addormentata che lui aveva baciata, e le aveva portato via una pianella.
- E ce l'avete ancora questa pianella?
- Eccola qui, - disse il soldato, traendola di tasca.
Allora la Principessa, tutta contenta, gli diede ancora da bere finché non cadde addormentato, poi disse al garzone: - Portatelo in quella camera che ho fatto preparare apposta; toglietegli i suoi abiti e mettetegli vestiti da Re sulla sedia.
Il napoletano la mattina si svegliò e si trovò in una camera tutta d'oro e di broccato. Andò per cercare i suoi vestiti e trovò abiti da Re. Si pizzicò per assicurarsi che non dormiva, e visto che da sé non si raccapezzava, suonò un campanello.
Entrarono quattro servitori in livrea, con grandi inchini: - Altezza, comandi. Ha riposato bene. Altezza?
Il napoletano faceva tanto d'occhi: - Ma siete impazziti? Che altezza e non altezza? Datemi i miei panni che voglio vestirmi, e facciamola finita con questa commedia.
- Ma si calmi. Altezza, si faccia fare la barba, si faccia pettinare.
- Dove sono i miei compagni? Dove avete messo la mia roba?
- Adesso vengono, adesso avrete tutto, ma permetta che la vestiamo. Altezza.
Quando vide che non c'era altro da fare per toglierseli di torno, il soldato li lasciò fare: lo sbarbarono, lo pettinarono, e gli misero gli abiti da Re. Poi gli portarono la cioccolata, la torta e i confetti. Finito di far colazione disse: - Ma i miei compagni li posso vedere, sì o no?
- Subito, Altezza.
E fecero entrare il romano e il fiorentino, che a vederlo vestito in quel modo restarono a bocca aperta. - Ma, di', come ti sei mascherato?
- Ne sapete qualcosa voialtri? Io ne so quanto voi.
- Chissà cos'hai combinato! - dissero i compagni. -Chissà quante bubbole hai raccontato ieri sera alla padrona!
- Io per regola vostra bubbole non ne ho raccontato a nessuno, - disse lui.
- E allora come va questa storia?
- Vi dirò io come va, - disse il Re entrando in quel momento con la Principessa vestita del suo manto più prezioso. - Mia figlia era sotto un incantesimo e questo giovanotto l'ha liberata.
E tra domande e risposte, si informarono di tutto quel che era successo.
- Per questo, - disse il Re, - lo faccio sposo di mia fi-glia e mio erede. In quanto a voialtri due, non vi preoccupate. Sarete fatti Duchi, perché se non aveste ammazzato gli altri due giganti, mia figlia non sarebbe stata salvata.
Furono fatte le nozze tra l'allegria generale.

Mangiarono pane a tozzi
E una gallina verminosa,
Viva la sposa, viva la sposa.


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