domenica 28 settembre 2014

Lezione 2 - Linguaggio evocativo e scarto poetico

Nebbia, da Pellegrinaggio d’autunno di Hermann Hesse



La mattina dopo mi svegliai di buon'ora e decisi di proseguire subito il mio cammino. Faceva freddo e la nebbia era così fitta che quasi non si vedeva al di là della strada. Infreddolito, bevvi il caffè, pagai pernottamento e bevande e mi allontanai a lunghi passi nel silenzio del mattino che stava sorgendo. Scaldandomi velocemente, lasciai alle mie spalle città e giardini, e mi addentrai in quel mondo che galleggiava nella nebbia. È' sempre stranamente toccante vedere come la nebbia separi tutto ciò che è vicino o apparentemente affine, come avvolga e racchiuda ogni figura, rendendola ineluttabilmente sola. Incroci un uomo, sulla strada maestra; ha con sé una mucca o una capra o spinge un carro e porta una fascina, e dietro a lui trotta, scodinzolando, il suo cane. Lo vedi avvicinarsi e lo saluti, e lui risponde al saluto; ma non appena è passato e ti giri a guardarlo, lo vedi già farsi indistinto e scomparire nel grigio, senza lasciar tracce. Non diversamente accade per case, recinzioni, alberi e vigneti. Credevi di conoscere tutti i dintorni a memoria e ora sei particolarmente stupito da quanto quel muro dista dalla strada, da quanto è alto quest'albero e bassa quella casa. Capanne che credevi vicinissime sono così distanti l'una dall' altra che, dalla soglia dell'una, lo sguardo non riesce a raggiungere l' altra. E, vicinissimi, senti bestie e animali che non riesci a vedere, che si muovono e lavorano ed emettono richiami. Tutto ciò ha qualcosa di fiabesco, ignoto, trasognato, e per qualche istante avverti con spaventosa chiarezza il suo contenuto simbolico. Come, in fondo, tutte le cose e tutti gli uomini siano sempre, gli uni rispetto agli altri, chiunque essi siano, degli sconosciuti, inesorabilmente, e come le nostre strade si incrocino sempre per pochi passi e istanti, conquistando la fugace parvenza della comunione, della vicinanza e dell'amicizia. Mi vennero in mente alcuni versi che recitai piano, continuando a camminare:


Strano, vagare nella nebbia!
È solo ogni cespuglio ed ogni pietra,
né gli alberi si scorgono tra loro,
ognuno è solo.

Pieno di amici mi appariva il mondo
quando era la mia vita ancora chiara;
adesso che la nebbia cala
non ne vedo più alcuno.

Saggio non è nessuno
che non conosca il buio
che lieve ed implacabile
lo separa da tutti.

Strano, vagare nella nebbia!
Vivere è solitudine.
Nessun essere conosce l'altro
ognuno è solo.


domenica 21 settembre 2014

Lezione 1.2 Mio padre è stato per me “l’assassino” [da materialididatticiclassi.blogspot.it]

Abbiamo letto le cinque poesie per il gioco del calcio contrassegnate da quell’immediatezza colloquiale e cordiale dell’espressione che è la modalità espressiva più originale e vera del poeta triestino. Già Leopardi aveva scritto, poco più di un secolo prima, una “canzone civile” intitolata A un vincitore nel gioco del pallone: ma per il grande recanatese il gioco era stato solo un pretesto per esprimere la sua concezione poetica
Ma perché Saba ha scritto le sue poesie? Quali risposte cercava? Perché ambiva/gioiva di sentirsi un uomo “come tutti / gli uomini di tutti / i giorni” capace di godere con gli altri delle piccole gioie quotidiane, accomunato a loro negli slanci di entusiasmo e nei momenti di sofferenza?
Saba, al contrario di Leopardi, affronta un tema così singolare senza preoccupazioni intellettualistiche, solo con l’intento di cogliere gli “immediati grovigli vitali”, cioè la spontaneità di sentimenti contrastanti (come in questo caso l’amore e la rabbia) che da sempre lo avevano affascinato, ispirandogli le sue poesie più belle. 


Mio padre è stato per me “l’assassino”
fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.
Allora ho visto ch’egli era un bambino,
e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.

Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
Andò sempre pel mondo pellegrino;
più d’una donna l’ha amato e pasciuto.

Egli era gaio e leggero; mia madre
tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone.

“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre.”
Ed io più tardi in me stesso lo intesi:
eran due razze in antica tenzone.

Il poeta triestino Umberto Saba (1883 – 1957) è una delle figure più originali del nostro Novecento. Il suo Canzoniere, ampliato nel corso delle sue varie edizioni (la prima risale al 1921, l’ultima, postuma, al 1961), contiene tutte le raccolte di liriche da lui composte. 
Mio padre è stato per me “l’assassino” è il terzo sonetto, in cui il poeta rievoca i suoi genitori: il padre, dal carattere libero e incapace di sottostare ai legami familiari, che abbandonò la moglie prima che il figlio nascesse, e la madre, che dovette sostenere da sola l’educazione del bambino, piena di rancore per il marito che l’aveva lasciata e che chiamò sempre “l’assassino”. Un conflitto aggravato, agli occhi del poeta, dall’appartenenza a due religioni e culture diverse: ebraica la madre, cattolica il padre. Solo quando Saba, ormai adulto, conobbe il padre, ritrovò negli occhi e nel sorriso del detestato “assassino” non solo l’uomo che lo aveva generato, ma anche una parte importante di sé, legata alla sua sensibilità umana e artistica. da materialididatticiclassi.blogspot.it


Se abbiamo capito Saba proviamo a fare come lui. Scrivete un testo come il suo (va bene anche in prosa) o segnalate pagine di sport che ricordano le poesia di Saba tipo questa del mio amico alefederico

domenica 14 settembre 2014

Lezione 1 Che cos'è "poetico"?

Benvenuti alla prima lezione di Italiano dell'a.s. 2014-2015. Il Prof. vi ha già spiegato il programma? La questione della comunicazione? Sì? No? Per seguire proficuamente le lezioni di Italiano vi servirà un quaderno nuovo di Poesia, ma oggi vi basta un foglio con una penna. Seguite le slide, poi il prof . Mazzieri vi chiederà di scrivere qualcosa su di voi. Ne verrà fuori una discussione che forse vi sembrerà un po' strana. Non preoccupatevi, non c'è nessun trucco sotto. Oggi è importante che parliate (con ordine) tra di voi, perché non c'è poesia se non c'è qualcuno che ascolta attentamente (e anche i romanzi più belli restano muti, se non dialogano con dei cuori induriti).
Allora 
si comincia