mercoledì 23 aprile 2014

Eneide V: La più serena celebrazione dello sport antico

da Francesco Lamendola - 14/09/2013



Il quinto canto dell’«Eneide» rappresenta una specie di sorpresa per il lettore di Virgilio: nessuna dolorosa memoria, basta amori strazianti, [...] ma una pausa serena, gioiosa, rinfrescante, dedicata alla celebrazione dei giochi in onore di Anchise, padre dell’eroe troiano, morto un anno prima. 

Il clima è nitido, pacato, vivace: giovani corpi pieni di agilità e di forza, sudore che scorre a rivoli giù per le schiene, incitamento agli atleti da parte dei capitani e del pubblico: nessuno, in questi momenti, pensa più ai dolori del passato e alle incertezze del domani; nessuno è preso da altro che dall’entusiasmo, dal coinvolgimento emotivo ed estetico davanti a un tale dispiegamento di vigoria fisica e di intensa volontà di vittoria. 

Le squadre ed i singoli atleti, infatti, gareggiano, sì, per il piacere dell’attività sportiva, ma anche per il desiderio di gloria: i ricchi premi, che Enea ha posto in palio, non sono tanto lo scopo cui tendono gli sforzi dei partecipanti, quanto i segni visibili del riconoscimento alla loro bravura, alla loro eccellenza, alla loro severa disciplina. 


1) La gara delle navi


E non c’è da stupirsi se,  un certo punto, davanti a una manovra sbagliata, o forse troppo prudente, del pilota Menete, il giovane e ardente capitano della «Chimera», Gia, che si vede doppiare dalla «Scilla» di Cloanto, infuriato afferra il vecchio e lo scaraventa in mare, donde questi riemerge per aggrapparsi a uno scoglio, tutto grondante e sputando acqua salmastra. È, anzi, uno spettacolo che muove tutti quanti al riso.... 



2) La gara di corsa

...così come umoristica è la scena del corridore Niso che, scivolato a terra sul fango, intenzionalmente fa cadere anche Salio per favorire la vittoria dell’amico Eurialo e poi si presenta, con bella faccia tosta, ad Enea, ottenendo anch’egli un premo di consolazione: uno scudo che lo stesso duce dei Troiani gli consegna, non senza lasciarsi sfuggire un sorriso malizioso e, forse, complice. 

3) Il cesto


Questa atmosfera festosa non è spezzata, ma solo resa più commovente, dalla gara del cesto, in cui si misurano due pugili dalle caratteristiche fisiche e psicologiche assai diverse: il vanitoso Darete, che, giovane, bello, fiero della sua possanza, vorrebbe addirittura portarsi via il premio senza neanche battersi, dato che tutti sono rimasti muti e impressionati dalla sua mole gigantesca, e l’ormai anziano Entello, che scende in campo solo dietro sollecitazione del re Aceste: l’uno, si direbbe, attirato soprattutto dal premio, un toro dalle corna dorate, l’altro dal desiderio di chiudere la propria carriera con una impresa memorabile. 
"Indi si levano, l’uno di fronte all’altro, sulla punta dei piedi, brandiscono le braccia, si ritraggono indietro colla testa levata, si pongono in guardia, si azzuffano". I pugni cadono giù a scroscio. Entello, già vecchio per affrontare un simile incontro, sta fermo a terra come un alto, antico pino, pronto a respingere gli attacchi del giovane avversario, che gli gira intorno, spiando l’occasione migliore per colpirlo.
Pertanto, Entello sferra un fulmineo pugno contro il Troiano, il quale riesce a parare il colpo, sicché il povero Entello, con tutto il peso della persona, stramazza a terra. Ma la sua vergogna è tale che gli fa ripristinare le forze d’un tempo e così s’avventa furente contro il giovane Darete,
[...] Solo l’intervento di Enea salva Darete da morte certa: ai compagni di Darete non resta che portar via il loro campione tramortito, con la testa ciondolante e tutto coperto di sangue, dalla cui bocca fuoriescono frammenti di denti fracassati. 

Fantastica la chiusa dell’episodio: prima di deporre, per sempre, i cesti (i guantoni) che lo resero famoso, Entello offre lì, su due piedi, un sacrificio vivente al divino Erice, abbattendo con un solo, formidabile pugno sulla fronte, il toro che rappresentava il suo meritato premio di vincitore. 


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E tuttavia, è proprio giustificata questa sorpresa? È davvero così diverso, così contrastante il quinto canto, rispetto al tono prevalente nell’insieme del poema? A ben guardare, anche il quinto canto è dominato dalla mestizia di un Fato che incombe minaccioso [...] si apre con il rogo sinistro che si leva dalla rocca di Cartagine per la morte di Didone e si chiude con la more di Palinuro, il generoso pilota di Enea, che il Sonno maligno fa addormentare alla barra del timone e poi fa precipitare in acqua. Una pausa che fa dimenticare, ma solo per poche ore, la terribile serietà della vita. Infatti Virgilio, “naturaliter christianus”, ama e rispetta la vita, proprio perché ne avverte i limiti dolorosi...

giovedì 10 aprile 2014

RISPOSTE A “IL COMPLESSO DI DIDONE”




MA PERCHÉ LE DONNE TOSTE PERDONO LA TESTA PER GLI ENEA?




… perché le donne toste son più fragili di quelle deboli.. e basta un cretino qualunque a farle crollare…. e non si riprendono perché una tosta che si mete a nudo non riesce più a ergere il muro.. ormai è fregata!


e donne in gamba sono come gli uomini nell’amore: così impegnata a creare nella società , non sanno usare la sessualità e ne vengono travolte. Tra l’altro, per entrambi , gira e rigira , l’estetica conta più della sostanza quando devono perdere la testa. Per le altre donne, siano aspiranti spose o perfette borghesi, è la sostanza quel che conta, soprattutto quella pecunaria.

Anche le grandi donne con menti argute si innamorano e quando succede, si sa, non si sceglie razionalmente la persona a cui dare il proprio amore, e lei, come molte altre donne intelligenti, si è innamorata di uno che evidentemente le “faceva sangue” e le diceva qualcosa di profondo. E c’è rimasta fregata, allora come ora succede, per tutte quelle fisime e quell’aria di problematicità di cui si circondano quei tipi di uomini.
Che vogliamo farci, è travolgente in tutto la storia di Didone. E passionale.
E almeno proveremo a impararne qualcosa per il futuro 

La storia, per lungo tempo, l’hanno raccontata gli uomini, mi piace pensare che potrebbe essere andata come l’hai descritta nel tuo epilogo alternativo, ma alla fine vale un po’ per tutti, quando l’attrazione ti folgora non c’è intelligenza né forza di carattere che aiuti. 
Per non parlare del sequel dove alla fine la di lui progenie spargerà il sale sulla tomba di lei, dopo averne ucciso i figli migliori.

mercoledì 9 aprile 2014

La Fama

"E subito va la Fama per le città grandi d’Africa,
la Fama, di cui nessun’altra peste è più rapida.
Nel movimento è il suo crescere, andando acquista le forze:
piccola prima, e timida: ma già s’alza per l’aria,
e cammina sul suolo, e il capo ha già tra le nuvole.
Questa, la Madre Terra, dall’ira dei numi incitata,
ultima generò, a Ceo e ad Encedalo, dicono,
sorella: celeri i piedi, e l’ali ha mobilissime,
prodigio orrido, immenso, che quante ha piume sul corpo,
tanti vigli occhi ha di sotto (cosa a dirla mirabile),
tante lingue:tante bocche ripetono, tanti orecchi si drizzano.


Di notte vola a mezzo fra cielo e terra nell’ombra,
stridendo, nè chiude al sonno dolce le palpebre;
di giorno vigile siede o d’un tetto sul culmine
o in vetta alle torri, sgomenta grandi città:
tenace a narrar menzogne maligne, così come il vero."
Eneide IV 173-188







Ovidio nel Libro XII dell Metamorfosi, invece, la immagina così

Al centro del mondo c'è un luogo che sta fra la terra, il mare
e le regioni del cielo, al confine di questi tre regni.
Da lì si scorge tutto ciò che accade in qualsiasi luogo del mondo,
anche nel più remoto, e lì giunge, a chi ascolta, qualsiasi voce.
Vi abita la Fama: ha eretto la casa nel punto più alto,
una casa nella quale ha posto infinite entrate e mille fori,
senza che una porta ne impedisca l'accesso.
È aperta notte e giorno; tutta di bronzo sonante,
vibra tutta, riporta le voci e ripete ciò che sente.
Non vi è pace all'interno e in nessun angolo silenzio,
ma pure non vi è frastuono, solo un brusio sommesso,
come quello che fanno le onde del mare se le si ascolta
di lontano o come l'ultimo brontolio dei tuoni,
quando Giove fa rimbombare lugubri le nubi.
L'atrio è sempre affollato: gente d'ogni risma che va e viene.
Mescolate a voci vere ne vagano qua e là migliaia
di false, che spargono intorno chiacchiere e parole equivoche.
Di queste alcune riempiono le orecchie sfaccendate di calunnie,
altre riportano il sentito dire, e la dose delle invenzioni
cresce a dismisura, perché ognuno vi aggiunge qualcosa di suo.
Lì trovi la Credulità, l'incauto Errore,
la Gioia immotivata e i Timori sfibranti,
la Sedizione improvvisa e i Sussurri d'origine incerta.
Così la Fama vede tutto ciò che accade in cielo,
in mare e in terra, indagando sull'universo intero.