venerdì 13 settembre 2013

ICES - imprarare a leggere e scrivere

Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici. Una volta che li avete inventati, non potete fare di meglio. Non potete fare un cucchiaio che sia migliore del cucchiaio. […] Il libro ha superato le sue prove e non si vede come, per la stessa funzione, potremmo fare qualcosa di meglio. Forse evolverà nelle sue componenti, forse le sue pagine non saranno più di carta. Ma resterà quello che è
                            J. C. Carrière, U. Eco, Non sperate di liberarvi dei libri, Bompiani, Milano, 2009

che ve ne pare delle parole di Eco? avrà ragione, e agli e-book ha pensato. Ve lo dico io ci ha pensato eccome. Già nel 2001 se ne parlava a un seminario dell'Università di Urbino e mi ricordo, io ero in platea quella volta, che il prof. Eco aveva presentato un elogio della tecnologia del libro in confronto con gli e-book. Allora era quasi un esercizio di fantascienza, ma le cose che vennero fuori da quella discussione sono ancora perfettamente attuali. A proposito, perché non ci provate anche voi a fare un confronto tra libro elettronico e libro di carta? quando e meglio l'uno e quando è meglio l'altro?


Non si scrive bene, se non si legge e, se si legge, tanto vale imparare a leggere bene. 

Firenze dilagava fuori delle mura, come un fiume che avesse rotto gli argini. dentro, poi, era una specie di alveare impazzito. dalle botteghe, dagli androni, dai cortili usciva un rumore ininterrotto che invadeva le strade un sottofondo sonoro di grida richiami tonfi cigolii...
per le vie e le piazze era un viavai continuo di persone a piedi un traffico di carri e di birocci una sfilata di cavalcature e portantine. benché le strade fossero lastricate si procedeva a rilento in mezzo a quel trambusto. dai vicoli laterali si sprigionavano a volte puzze acide che irritavano gli occhi e la gola. ma anche tra quei miasmi si respirava una sensazione di ricchezza. Le strade centrali ampie e rettilinee, erano una vera ostentazione di lusso

che ne dite, proviamo a metterci qualche virgola? proviamo qui.

se, invece, volete saperne di più del romanzo da cui è tratto questo brano, sappiate che si intitola Il maestro dei santi pallidi, che è stato scritto da Marco Santagata e che, nel 2003, ha vinto il Premio Campiello, che non devo certo presentarvi io.
All'inizio della storia troviamo il protagonista, Cinin, “seduto a cavalcioni di un ramo, con la corda intorno al collo”. Molti anni prima, proprio sulle radici di quell’albero era inciampato mentre scappava dal suo padrone che voleva punirlo per aver abbandonato il pascolo. Invece di guardare le mucche, Cinin era andato a guardare gli affreschi alla Riva, dove c’era una delle rare chiese affrescate dell’epoca. Era rimasto incantato. Siamo sull’Appennino modenese, nel Quattrocento. Veniamo a sapere fin dalle prime pagine che Cinìn da bastardo analfabeta guardiano di vacche è diventato un pittore piuttosto affermato. Allora, come mai sta per suicidarsi? E soprattutto, come ha potuto, da questi miseri blocchi di partenza, diventare un artista?



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