venerdì 16 maggio 2014

Il pozzo e il pendolo

E.A.POE - IL POZZO E IL PENDOLO {extract}
Ero svenuto, ma non avevo, contuttociò, perduto ogni sentimento; non tenterò di definire, né di descrivere quel che mi rimaneva, ma, infine, non era tutto perduto. […] Finora non avevo aperto gli occhi; sentivo che ero disteso sul dorso, senza legami. Allungai la mano ed essa andò a battere su qualche cosa d’umido e di duro. La lasciai alcuni minuti in quella posizione, cercando d’indovinare in che luogo potevo essere, e che cosa ero divenuto. Ero impaziente di servirmi degli occhi, ma temevo, avevo paura della prima occhiata sugli oggetti circostanti. Non temevo di vedere cose orribili, ma piuttosto mi spaventava l’idea di non vedere nulla. Finalmente, con una pazza angoscia nel cuore, aprii vivamente gli occhi. Il mio tremendo pensiero veniva dunque ad avverarsi: il buio della notte eterna mi circondava. […] Mi sembrava che fosse passato un lungo tempo da quando era stata pronunciata la sentenza. Però, nemmeno per un istante, ebbi l’idea d’esser morto. Un’idea simile, nonostante tutte le finzioni letterarie, è del tutto incompatibile coll’esistenza reale; ma dove mi trovavo? In quale stato? Sapevo che i condannati a morte morivano ordinariamente negli auto-da-fe. Ero io forse condannato a morir di fame in quel mondo sotterraneo e buio, o qual altra sorte, anche più tremenda, mi attendeva? Che il risultato fosse la morte, e una morte di un’amarezza insoffribile, non potevo dubitarne, conoscendo troppo bene il carattere de’ miei giudici; quello che mi occupava e mi tormentava era il modo e l’ora. Le mie mani tese in avanti incontrarono finalmente un ostacolo solido: un muro che pareva costruite di pietre, liscio, umido, gelato. Seguii quel muro, con quella prudente diffidenza che mi avevano ispirato certe antiche storie. Però quell’aggirarmi non era sufficiente per conoscere le dimensione del mio carcere, poiché il muro sembrava così perfettamente uniforme, che io poteva fare il giro e ritornare al punto donde ero partito senza accorgermene. […] Quando mi svegliai, distesi un braccio e trovai un pane e una brocca d’acqua. Ero troppo privo di forze per riflettere su questa circostanza, ma bevvi e mangiai avidamente. Poco dopo ripreso il mio cammino intorno alla prigione e, non senza molta fatica, ritrovai il pezzo di stoffa. Prima di cadere, avevo contato 52 passi, ora, ripetendo il cammino, ne contai 48, prima di trovare lo straccio. In tutto erano dunque 100 passi, e calcolando una yarda ogni due passi, la segreta doveva avere un circuito di 50 yarde. Avevo però incontrato parecchi angoli del muro, e non avevo ancora la maniera di scoprire la forma del sotterraneo; imperocché non potevo fare a meno di credere che fosse un sotterraneo. Facevo queste ricerche con grande interesse; non avevo certo alcuna speranza, ma una vaga curiosità mi spingeva a continuarle. Staccandomi dal muro, pensai di traversare la superficie circoscritta. Mi avanzai dapprincipio con precauzione estrema, poiché il suolo, benché sembrasse fatto d’una materia dura, era traditore e sdrucciolevole. Ma in seguito mi feci coraggio e presi a camminar franco, cercando di andare più diritto che potevo. Avevo fatto dieci o dodici passi, quando il resto dell’orlo strappato del mio vestito mi si attorciglio alle gambe; lo pestai e caddi con violenza in avanti. Nel momento della caduta, non osservai subito una circostanza non poca curiosa, che però, dopo pochi minuti, mentre ero ancora disteso, richiamò la mia attenzione. Il mio mento toccava terra, ma le labbra e la parte superiore della testa, benché sembrassero poste ad una minore elevazione, non posavano sul suolo. Nel tempo stesso, mi sembrò che un vapore vischioso mi bagnasse la fronte, e che un odore speciale di funghi vecchi venissi a ferirmi le narici. Allungai il braccio e fremetti nello scoprire ch’ero caduto sull’orlo di un pozzo circolare, del quale, pel momento, non avevo alcun mezzo per calcolare la vastità. Tastando la muratura del margine, riuscii a smuoverne un piccolo pezzo, che lascia cader nell’abisso. Per alcuni minuti, tesi l’orecchio ai suoi rimbalzi: cadendo batteva alle pareti del pozzo e finalmente si udì un lugubre tonfo nella acqua seguito da lunghi echi. Nel medesimo tempo, udii un rumore sopra la mia testa, come d’una porta che si chiudesse subito appena aperta, mentre un debole raggio di luce traversava rapidamente l’oscurità, spegnendosi quasi nello stesso istante. Vidi chiaramente la sorte che mi era stata preparata e mi rallegrai dell’opportuno accidenti al quale dovevo la salvezza. Un passo ancora, e il mondo non mia avrebbe mai più riveduto.

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