lunedì 21 marzo 2011

il guerriero della storia



STORIA DEL GUERRIERO E DELLA PRIGIONIERA - J. L. BORGES[1]  
annotazioni di  F. Capodimonte e C. Cimarelli

A pagina 278 del libro La poesia (Bari, 1942), Croce[2], riassumendo un testo latino dello storico Paolo Diacono[3], narra la sorte e cita l'epitaffio[4] di Droctulft; ne fui singolarmente commosso, e in seguito compresi perché. Droctulft fu un guerriero, longobardo che, durante l'assedio di Ravenna, abbandonò i suoi e morì difendendo la città che prima aveva attaccata. Gli abitanti di Ravenna gli dettero, sepoltura in un tempio e composero, un epitaffio nel quale espressero la loro gratitudine (contempsit caros, dum nos amat ille, parentes[5]) e il curioso contrasto che si avvertiva tra l'aspetto atroce di quel barbaro, e la sua semplicità e bontà:
Terribilis visu facies, sed mente benignus,
longaque robusto pectore barba fuit![6]
Tale è la storia del destino di Droctulft, barbaro, che morì difendendo Roma, o tale il frammento della sua storia che poté salvare Paolo Diacono. Non so neppure in quale periodo sia accaduto il fatto: se a metà del sesto secolo, quando i longobardi devastarono le pianure italiane, o nell'ottavo, prima della resa di Ravenna. Immaginiamo (giacché questo non è un lavoro storico) che fosse il primo.
Immaginiamo, sub specie aeterntiatis[7], Droctulft, non l'individuo Droctulft, che indubbiamente fu unico e insondabile[8] (tutti gli individui lo sono), ma il tipo generico che di lui e di molti altri come lui ha fatto la tradizione, che è opera dell'oblio[9] e della memoria. Attraverso un'oscura geografia di selve e paludi, le guerre lo portarono in Italia, dalle rive del Danubio[10]10 e dell'Elba[11]11; forse non sapeva che andava al Sud e che guerreggiava contro il nome romano. Forse professava l'arianesimo[12]12, che sostiene che la gloria del Figlio è un riflesso della gloria del Padre, ma è più verosimile immaginarlo devoto della Terra, di Hertha, il cui simulacro[13] velato andava di capanna in capanna su un carro tirato da vacche, o degli dei della guerra e del tuono, che erano rozze immagini di legno, avvolte in stoffe e cariche di monete e cerchi di metallo. Veniva dalle selve inestricabili del cinghiale e dell'uro[14]; era bianco, coraggioso, innocente, crudele, leale al suo capo e alla sua tribù non all'universo. Le guerre lo portano a Ravenna e là vede qualcosa che non ha mai vista, o che non ha vista pienamente. Vede il giorno e i cipressi e il marmo. Vede un insieme che è molteplice senza disordine; vede una città, un organismo fatto di statue, di templi, di giardini, di case, di gradini, di vasi, di capitelli, di spazi regolari e aperti. Nessuna di quelle opere, è vero, lo impressiona per la sua bellezza; lo toccano come oggi si toccherebbe un meccanismo complesso, il cui fine ignoriamo, ma nel cui disegno si scorgesse un'intelligenza immortale. Forse gli basta vedere un solo arco, con un'incomprensibile iscrizione in eterne lettere romane. Bruscamente, lo acceca e lo trasforma questa rivelazione: la Città. Sa che in essa egli sarà un cane, un bambino, e che non potrà mai capirla, ma sa anche ch'essa vale più dei suoi dèi e della fede giurata e di tutte le paludi di Germania. Droctulft abbandona i suoi e combatte per Ravenna. Muore, e sulla sua tomba incidono parole che non avrebbe mai comprese:
Contempsit caros, dum nos amat ille, parentes,
hanc patriam reputant esse, Ravenna, suam.[15]
Non fu un traditore (i traditori non sogliono ispirare epitaffi pietosi), fu un illuminato, un convertito. Alcune generazioni più tardi, i longobardi che avevano accusato il disertore[16], rocedettero come lui; si fecero italiani, lombardi, e forse qualcuno del loro sangue? un Aldiger?[17] generò i progenitori dell'Alighieri... Molte congetture[18] è dato applicare all'atto di Droctulft; la mia è la più spiccia; se non è vera come fatto, lo sarà come simbolo.



[1] Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo (Buenos Aires, 1899 – Ginevra,  1986) è stato uno scrittore, poeta e traduttore argentino. È ritenuto uno dei più importanti e influenti scrittori del XX secolo ed è stato ispirato tra gli altri da Macedonio Fernández, Rafael Cansinos Assens, dalla letteratura inglese, Franz Kafka, Emanuel Swedenborg e dal Taoismo. Narratore, poeta e saggista, è famoso sia per i suoi racconti fantastici, in cui ha saputo coniugare idee filosofiche e metafisiche con i classici temi del fantastico, sia per la sua più ampia produzione poetica.  
[2] Benedetto Croce (Pescasseroli,  1866 – Napoli 1952) è stato un filosofo, un critico letterario, uno storico, uno scrittore e un politico italiano, principale ideologo del liberalismo novecentesco italiano e "rifondatore" del Partito Liberale. Con Giovanni Gentile è considerato un importante protagonista della cultura italiana ed europea della prima metà del XX secolo.
[3] Paolo Diacono è stato un monaco, storico, poeta e scrittore longobardo di espressione latina. Era discendente di Leupichi, che affiancava re Alboino nel passaggio dei Longobardi dalla Pannonia all'Italia. Da Cividale del Friuli, dove nacque nel 720, raggiunse Pavia in giovane età per seguire gli studi in quella che allora era la capitale longobarda. Si formò alla corte del re Rachis, allievo di Flaviano, ed alla scuola del monastero di San Pietro in Ciel d'Oro, dove conseguì la carica di docente. Restò alla corte con i successivi re Astolfo e Desiderio. Divenne anche il precettore di Adelperga figlia di Desiderio che seguì quando ella si sposò con il duca Arechi II di Benevento. Nel 774 visse il crollo del regno longobardo e per evitare rischi di prigionia si fece monaco nel monastero di Montecassino.
Dal 782 al 787 fu attivo presso la corte di Carlo Magno, presso la quale si recò per chiedere la liberazione dei suoi parenti prigionieri, in particolare il fratello Arichis, catturato e condotto in Francia nel 776 dopo la sua partecipazione ad una rivolta del Friuli contro i nuovi occupanti, e che alla fine fu liberato. Là acquistò una certa notorietà e prestigio come maestro di grammatica.
Nel 787 tornò a Montecassino, dove fra l'altro scrisse l'Historia Langobardorum, la sua opera più famosa in cui narra, fra mito e storia, le vicende del suo popolo, dalla partenza dalla Scandinavia all'arrivo in Italia. La scrittura del testo impegnò Paolo Diacono per due anni, dal 787 al 789.
[4] Con il termine epitaffio si intende un'iscrizione funebre, il cui scopo è onorare e ricordare il defunto. Generalmente, pur non sempre, si tratta di uno o più versi di una poesia: molti poeti hanno infatti composto il proprio epitaffio. Per epitaffio si intendeva, in tutta probabilità, l'orazione funebre pubblica che durante i secoli della Grecia antica si teneva ad Atene in onore dei soldati caduti. Nell'antica Roma, si confuse con la laudatio funebris, pronunciata da un figlio o da un parente del morto. Per estensione, si sarebbe poi dato tale nome alla semplice iscrizione tombale.
[5] Non amò i suoi cari, mentre lui ama noi come fossimo suoi parenti”. 
[6] “Fu di aspetto terribile ma ricco di intelligenza , aveva una lunga barba e un petto robusto”. 
[7] lett. “Sotto lo sguardo dell’eterna memoria”. L'espressione indica qualcosa di universalmente ed eternamente vero, senza alcun riferimento al contingente e al relativo. Possiamo tradurla con “in astratto”, ”come esempio”
[8] Incomprensibile, misterioso, oscuro.
[9] oblio = Perdita di ogni ricordo, dimenticanza. La memoria, scrive Borges non è tanto l’atto del ricordare, il frutto della selezione; ricordare è, in realtà, dimenticare i dettagli. Poiché non sempre i dettagli che si perdono sono inutili, la memoria è inevitabilmente una falsificazione della realtà
[10] Il Danubio è un fiume dell'Europa centro-orientale. Con 2.902 km è il secondo corso d’acqua più lungo del continente (dopo il Volga), e il più lungo fiume navigabile dell'Unione Europea. Le sue fonti sono nella Foresta Nera in Germania. Dalle sorgenti scorre verso est il fiume corre lungo i confini di dieci paesi: Austria, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Serbia, Bulgaria, Romania, Moldavia,  Ucraina e attraversa varie capitali dell'Europa centrale e orientale. Alla fine del suo corso si getta nel Mar Nero attraverso un ampio delta sul confine tra Romania e Ucraina. Il Danubio è stato per secoli una delle frontiere dell'Impero Romano.
[11] L'Elba  è uno dei più lunghi fiumi dell'Europa centrale (1091 km). Nasce nel nord della Repubblica Ceca, nella catena montuosa dei Monti Sudeti, a circa 1400 metri di altezza. Attraversa quindi la Germania, bagna le città di Dresda, Magdeburgo e Amburgo e sfocia nel Mare del Nord. La sua lunghezza totale è di 1091 km. Da due secoli un'importante rotta commerciale, l'Elba è stato collegato tramite un sistema di canali navigabili col Reno, il Weser e l'Oder. Il fiume stesso è navigabile con battelli commerciali fino all'interno del continente europeo, addirittura a Praga, mentre altri sistemi di canali artificiali lo collegano alle aree industriali della Germania e alla capitale Berlino. 
[12] L'arianesimo è il nome con cui è conosciuta una dottrina cristologica elaborata dal monaco e teologo cristiano Ario, condannata al primo concilio di Nicea. Sosteneva che la natura divina di Gesù fosse sostanzialmente inferiore a quella di Dio e che, pertanto, vi fu un tempo in cui il Verbo di Dio non esisteva e dunque che fosse stato creato in seguito. In tal senso contraddiceva l'idea della Trinità maturata attorno agli scritti di Giustino di Nablus. Ario non negava la Trinità ma subordinava il Figlio al Padre, negandone la consustanzialità che sarà poi formulata nel concilio di Nicea (325) nel noto credo niceno-costantinopolitano. Per Ario, quindi, Gesù era solo un uomo, non identificabile con Dio stesso.
Sebbene Ario fosse stato scomunicato per eresia e la sua dottrina condannata, questa corrente religiosa resistette a lungo tanto da diventare religione ufficiale dell'impero romano sotto Costanzo II. Nel IV secolo, fu molto diffusa anche in Italia: ad esempio, in Romagna sono noti per aver combattuto l'eresia ariana, i vescovi San Mercuriale di Forlì, San Rufillo di Forlimpopoli, San Leo di Montefeltro e San Gaudenzio di Rimini. I germani cristianizzati furono inoltre i maggiori seguaci dell'arianesimo, fino al VII secolo.
Costantino Nel 325 Costantino I indice il Concilio di Nicea che elabora un "simbolo", cioè una definizione dogmatica relativa alla fede in Dio nel quale compare il termine homooùsios (= consustanziale al Padre, letteralmente "della stessa sostanza") attribuito al Cristo e che costituisce, tuttora, la base dogmatica del Cristianesimo storico. Successivamente però lo stesso imperatore venne battezzato in punto di morte da un vescovo ariano, Eusebio di Nicomedia. 
Costanzo II L'arianesimo ebbe fortuna in certi momenti fra la corte imperiale e nell'ultima fase dell'Impero Romano. Furono ariani gli imperatori Costanzo II e Valente e il generale Stilicone. 
Teodosio Nel 380, sotto l'influsso di Ambrogio, venne emanato da Teodosio I e Graziano l'editto di Tessalonica che definiva il credo niceno come religione di stato. 
La condanna dell'Arianesimo venne ribadita nel 381 durante il primo concilio di Costantinopoli.
Medioevo Nei secoli successivi tuttavia venne progressivamente perdendo peso nell'ambito dell'Impero. Tuttavia, grazie alla predicazione condotta nel IV secolo fra i Goti,  l'arianesimo conobbe una grande diffusione fra i popoli germanici, specialmente Goti, Vandali e Longobardi. Fu ariano il re ostrogoto Teodorico, mentre fu Teodolinda la regina che determinò la conversione dei Longobardi al cattolicesimo. 
[13] Un simulacro è una statua o un’immagine di una divinità o di un personaggio illustre.
[14] L'uro è una specie di grande bovino selvatico ormai estinto, ma, in passato, molto diffuso in Europa. Corrispondeva al nostro bue, come il cinghiale corrisponde al maiale. Gli uri erano noti anche per il loro temperamento molto aggressivo e nelle culture antiche ucciderne uno era visto come un grande atto di coraggio. I bovini moderni sono divenuti molto più piccoli dei loro antenati selvatici: l'altezza al garrese di una vacca domestica di taglia media è di circa 150 cm, mentre l'uro raggiungeva mediamente i 175 cm di altezza.
Esistevano tre sottospecie di uro: il Bos primigenius nomadicus, che viveva in India, il Bos primigenius mauretanicus del Nordafrica e, naturalmente, il Bos primigenius primigenius dell'Europa e del Medio Oriente. Solo la sottospecie europea è sopravvissuta fino a tempi recenti.
L'uro possedeva anche alcuni aspetti che si riscontrano raramente nei bovini moderni, come le corna a forma di lira ricurve in avanti, una striscia pallida lungo la spina dorsale e un dimorfismo sessuale nei colori del mantello. I maschi erano neri con una striscia color grigio più chiaro o marroncina lungo la spina dorsale, mentre le femmine e i vitelli erano rossastri (questi colori si riscontrano tuttora in pochi bovini domestici, come i bovini di Jersey).
[15] “Non amò i suoi cari, mentre lui ama noi come fossimo suoi parenti, considera come sua patria Ravenna”.
[16] Infedele.
[17] Alcune fonti sostengono che la radice "Ald" derivi dall'antico germanico-danese Athal (nobile) e di conseguenza i nomi originari:  Aldiger e Hadalgher, andrebbero tradotti come "lancia nobile o nobile lanciere". Da ciò si può affermare che si tratta della "cognominizzazione" della professione del capostipite di una famiglia, o il capo di una tribù di barbari: ovverosia "un abile guerriero armato di lancia".  
[18] Giudizi fondati più su un'intuizione personale che su prove reali; sono ipotesi o supposizioni ritenute probabilmente vere, ma non dimostrate 

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