mercoledì 18 marzo 2020
Cronache della Caduta dell'Impero d'Occidente
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lunedì 16 marzo 2020
Sacco di Roma (410)
JN Sylvestre (1890) |
La più potente capitale dell'antichità, per tre giorni (dal 24 al 27 agosto), fu in mano agli invasori che depredarono templi, luoghi pubblici e case private.
Palazzi furono depredati. Le statue del Foro furono spogliate, la Curia Iulia, sede del senato, data alle fiamme e l'imperatrice Galla Placidia presa in ostaggio da Alarico.
Nonostante tutto, Roma incuteva rispetto agli invasori e nei tre giorni di saccheggio Alarico impartì l'ordine di risparmiare i luoghi di culto (soprattutto la basilica di San Pietro), che considerò come luoghi di asilo inviolabili dove non poteva essere ucciso nessuno.
L'evento ebbe un'immediata risonanza in tutto l'Impero e lo sconvolse moralmente. Fu avvertito come evento epocale. Ma come si giunse a questo punto?
La storia del conflitto e dell'amicizia tra Visigoti e Romani dura vent'anni. Per arrivare del saccheggio di Roma sono serviti almeno 10-15 anni di pessima politica
400-405 d.C. - Stilicone e i Visigoti
Onorio assurse al soglio all'età di soli 11 anni, venendo affidato alla reggenza del magister militum Stilicone, prescelto per questo incarico da Teodosio I sin dal 393.
Stilicone, di origine vandala, si trovò così a guidare un Impero
Le due partes si trovarono subito a fronteggiare un grave problema. Il neo-proclamato re dei Visigoti, Alarico, che aveva servito come foederatus nell'esercito romano sotto Teodosio, giungendo perfino ad aspirare alla carica di magister militum, destinata invece poi a Stilicone
Fu proprio Stilicone a fronteggiare Alarico e i suoi Visigoti quando questi varcarono le Alpi marciando su Milano. Ripetutamente sconfitti a Pollenzo (402) ed a Verona (403), i Visigoti ripiegarono sull'Illirico, mentre Stilicone garantiva ad Alarico un congruo tributo nel tentativo di tenerlo sotto controllo.
Alla fine venne stretta un'alleanza militare tra Stilicone e Alarico contro l'Impero d'Oriente intorno al 405 e Stilicone nominò Alarico fosse quella di magister militum per Illyricum.
Dittico di Stilicone, Monza, |
408 d.C. La fine di Stilicone
Alarico, contrariato per l'annullamento della spedizione senza che avesse ricevuto alcuna ricompensa o almeno un rimborso spese per il mantenimento delle sue truppe per tutto il tempo trascorso in Epiro in attesa di Stilicone, decise di marciare in Norico, da dove inviò messaggeri al generalissimo d'Occidente, richiedendo che gli venissero pagate 4 000 libbre d'oro, non solo come ricompensa per i servigi prestati all'Impero d'Occidente in Epiro, ma anche come rimborso spese per il viaggio dall'Epiro al Norico, e minacciando di invadere l'Italia nel caso questa richiesta non fosse stata soddisfatta.
Stilicone, all'arrivo dei messaggeri di Alarico a Ravenna, li trattenne in quel luogo, e si diresse a Roma, dove intendeva consultarsi con l'Imperatore e con il Senato romano riguardo al pagamento di Alarico.
Il senato, riunitosi al palazzo imperiale, discusse se dichiarare guerra al re dei Goti, oppure pagargli la somma di denaro: la maggior parte dei senatori erano propensi per la guerra, mentre Stilicone e pochi altri erano di opinione contraria, e votarono per la pace con Alarico.
Una volta versate le 4 000 libbre d'oro ad Alarico, Onorio decise di lasciare Roma per stabilirsi a Ravenna, ma Stilicone non scampo' all'accusa di tradimento. I federati barbari al suo seguito, insieme ai suoi servi e ad altri amici e parenti, tentarono di intervenire per salvarlo dall'esecuzione, ma Stilicone li fermò all'istante, accettando il suo destino. Stilicone fu giustiziato il 23 agosto 408. Onorio divorziò da Termanzia, figlia di Stilicone, e ordinò l'esecuzione di un altro figlio del generale, Eucherio, il quale riuscì però a trovare riparo in una chiesa di Roma.
408 d.C. Invasione dell'Italia e assedio di Roma
Alarico, rinforzato dai altri 30 000 soldati barbari un tempo al servizio dell'Impero, subì da essi pressioni affinché rompesse gli accordi stretti con Roma e invadesse l'Impero. La proposta di pace di Alarico venne però rifiutata da Onorio, che, influenzato dai consiglieri, era ormai contrario ad ogni negoziazione con i Goti,
Mentre il governo di Ravenna prestava molta più attenzione a perseguitare i partigiani e i famigliari di Stilicone piuttosto che opporre resistenza all'invasione, l'esercito di Alarico era ormai giunto in prossimità delle mura di Roma.
Quando l'assedio alla città eterna cominciò, il senato romano sospettò (probabilmente a torto) che Serena, moglie di Stilicone, progettasse di consegnare Roma ai Barbari e, dopo sommario processo, la giustiziarono,
Ma le loro speranze vennero frustrate e Alarico continuò l'assedio dell'Urbe, intenzionato a prenderla per la fame:
Dopo lunghe trattative con il nemico, Alarico accettò di levare l'assedio in cambio di 5 000 libbre d'oro, 30 000 libbre d'argento, 4 000 abiti di seta, 3 000 abiti di lana scarlatta e 3 000 libbre di pepe
Prima di procedere al versamento del tributo, il senato romano inviò un'ambasceria a Onorio, per indurlo a negoziare una pace con i Visigoti di Alarico: questi ultimi, in cambio di denaro e della cessione in ostaggio di alcuni figli di persone di illustre rango, si impegnavano a non combattere più lo stato romano, ma a tornare al suo servizio in qualità di confederati.
408 d.C. Una pausa in Toscana
I barbari si stabilirono temporaneamente in Toscana, venendo raggiunti da schiavi in fuga da Roma, che entrarono nell'esercito visigoto, portandolo a 40 000 soldati.Quando Alarico scoprì che Onorio aveva rifiutato di nominarlo magister militum, sentendosi insultato, ruppe ogni trattativa e si diresse di nuovo verso Roma.
Essendo la situazione ormai disperata, l'Imperatore inviò richiesta agli Unni di fornirgli 10 000 loro guerrieri da impiegare come ausiliari nella guerra contro Alarico. Nel frattempo, però, Alarico cambiò idea, arrestando la sua avanzata verso Roma, e inviando dei vescovi come ambasciatori a Ravenna per negoziare una nuova pace a condizioni più moderate delle precedenti: in cambio di un modesto tributo in grano e lo stanziamento dei Visigoti nella poco prospera provincia del Norico, Alarico avrebbe accettato la pace con lo stato romano.
409-410 d.C. Secondo assedio di Roma e l'usurpazione di Attalo (409-410)
Nel frattempo, nel novembre 409 Alarico assediò per la seconda volta Roma, minacciando di distruggerla a meno che gli abitanti dell'Urbe non si fossero rivoltati contro Onorio e avessero eletto un imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti. Si impadronì del porto della città e di tutte le provviste stipate in esso, prendendo Roma per fame. Il senato romano, essendo conscio che se non avessero accettato le condizioni di Alarico, Roma sarebbe stata distrutta, dopo una lunga discussione, accettò di far entrare Alarico in città e di nominare un imperatore fantoccio sotto il controllo dei Visigoti, il praefectus urbi Prisco Attalo.
Alarico procedette quindi in direzione di Ravenna per discutere la pace con Onorio; fu organizzato un incontro con l'Imperatore a circa sessanta stadi da Ravenna per riprendere le negoziazioni. Ma nemmeno stavolta i Romani rispettarono i patti
I Visigoti, dopo due falliti tentativi (408 e 409), nel corso del 410 (dopo essere stati attaccati a tradimento dalle truppe dell'imperatore Onorio a Ravenna), ritornarono sotto le mura di Roma dando inizio così al terzo assedio in tre anni; bloccarono tutte le vie d'accesso, compreso il Tevere e i rifornimenti da Porto e da Ostia.
Secondo Procopio Alarico, non essendo riuscito a prendere la città né con la forza né con ogni altro mezzo, escogitò il seguente piano: scelse tra i soldati più giovani dell'esercito visigoto 300 di buona nascita e di talento, e, dopo averli istruiti sul loro compito, inviò ambasciatori ai membri del senato, accettando apparentemente di levare l'assedio; dopo aver lasciato i 300 giovani già citati come ostaggi ad alcuni patrizi di Roma, l'esercito di Alarico si allontanò temporaneamente dalle vicinanze dell'Urbe, per non destare sospetti. Una volta entrati in città, i giovani visigoti misero in atto il piano secondo gli ordini ricevuti da Alarico: dopo aver ucciso i soldati di presidio, aprirono a mezzogiorno la Porta Salaria, permettendo ai loro connazionali di entrare in città (24 agosto 410).
Iniziò così il secondo saccheggio della Città Eterna, rimasta inviolata dai tempi di Brenno 700 anni prima. Nonostante tutto, Roma incuteva rispetto agli invasori e nei tre giorni di saccheggio Alarico impartì l'ordine di risparmiare i luoghi di culto (soprattutto la basilica di San Pietro), che considerò come luoghi di asilo inviolabili dove non poteva essere ucciso nessuno.
Alarico rese omaggio ai sepolcri degli Apostoli e in un certo senso rispettò la sacralità dell'Urbe.
Girolamo scrisse:
«Chi avrebbe mai creduto che Roma, costruita sulle vittorie riportate su tutto il mondo, sarebbe crollata? Che tutte le coste dell'Oriente, dell'Egitto e d'Africa si sarebbero riempite di servi e di schiave della città un tempo dominatrice, che ogni giorno la santa Betlemme dovesse accogliere ridotte alla mendicità persone di entrambi i sessi un tempo nobili e pieni di ogni ricchezza?»
San Girolamo narra la triste sorte della vedova Marcella, residente sul colle Aventino insieme alla figlia adottiva Principia: di nobile nascita, Marcella aveva trasformato il suo palazzo sull'Aventino in un convento, e aveva donato gran parte dei propri averi ai poveri.Quando i saccheggiatori goti irruppero nella sua dimora, aspettandosi di trovare grandi ricchezze a causa del fasto dell'edificio, pretesero che ella svelasse dove le avesse nascoste, non essendo riusciti a trovarle.Quando ella disse loro che gran parte delle sue ricchezze le aveva donate ai poveri, essi, non credendole, cominciarono a percuoterla e a torturarla per spingerla a confessare, ma ella continuava a giurare di non avere ulteriori ricchezze e ad implorarli di risparmiare lei e Principia. Alla fine, i Goti si persuasero che Marcella dicesse la verità e la condussero con la figlia adottiva alla basilica di San Paolo affinché si salvasse. Una volta all'interno della basilica, Marcella rivolse al Signore un canto di ringraziamento per il fatto che i Goti non avessero esercitato violenze su Principia in quella notte e le avessero risparmiate; ma il contraccolpo per le violenze subite in quella notte le fu letale ed ella perì alcuni giorni dopo.
«...incendiando il più grande numero di strutture magnifiche e le altre ammirevoli opere d'arte contenute [nella città]. Si impadronirono di denaro e di altra roba di valore e se la spartirono tra loro. Molti dei principali senatori furono giustiziati con pretesti vari.»
(Socrate Scolastico, Storia Ecclesiastica, VII, 10.)
Le sconfitte degli usurpatori (410-413)
Alarico abbandonò Roma agli inizi dell'autunno, per dirigersi verso l'Italia meridionale: conduceva con sé, oltre a enormi ricchezze, anche un ostaggio prezioso, la sorella dell'imperatore Onorio, Galla Placidia
Alarico si spense poco tempo dopo in Calabria, venendo sepolto con tutto il suo tesoro nel letto del fiume Busento. I Visigoti, eletto re Ataulfo, marciarono quindi verso nord, dirigendosi sulla Gallia meridionale.
Onorio chiese a questo punto in cambio della pace la restituzione di Galla Placidia, ostaggio dei Visigoti fin dal 410. Ataulfo, tuttavia, non era disposto a restituire a Onorio sua sorella, se in cambio non veniva rispettata la condizione di fornire ai Visigoti una grossa quantità di grano, una cosa che i Romani avevano promesso ai Visigoti ma che non era stata finora mantenuta
Nel gennaio dell'anno successivo, il re dei Visigoti sposò a Narbona la sorella di Onorio, Galla Placidia, tenuta in ostaggio prima da Alarico e poi da Ataulfo stesso fin dai giorni del sacco di Roma.
Secondo Orosio, Ataulfo:
«...preferì combattere fedelmente per l'Imperatore Onorio e impiegare le forze dei Goti per la difesa dello stato romano... Sembra che in un primo momento desiderasse combattere contro il nome romano e rendere tutto il territorio romano un impero gotico di nome e di fatto, in modo che, per usare espressioni popolari, la Gothia avrebbe preso il posto della Romània, ed egli, Ataulfo, sarebbe diventato un nuovo Cesare Augusto. Avendo scoperto dall'esperienza degli anni che i Goti, a causa della loro barbarie..., erano incapaci di ubbidire alle leggi, e ritenendo che lo stato non dovrebbe essere privato di leggi senza le quali non sarebbe tale, scelse per sé almeno la gloria di restaurare e aumentare la grandezza del nome romano tramite la potenza dei Goti, desiderando di essere ricordato dalla posterità come il restauratore dell'Impero romano e non il suo distruttore... Cercò quindi di trattenersi dalla guerra e di promuovere la pace, aiutato in ciò specialmente da sua moglie, Placidia, una donna di intelligenza e di pietà straordinaria; fu guidato dai suoi consigli in tutte le misure conducenti al buon governo.» (Orosio, VII,43.)
Il matrimonio tra Ataulfo e Placidia non trovò però l'approvazione della corte di Onorio, che si rifiutò di negoziare con i Visigoti.
A Barcellona, ai due sposi nacque un figlio, di nome Teodosio. Nel 415 Ataulfo si spense nei pressi di Barcellona, ucciso nelle sue stalle da un servo, di nome Dobbio, che aveva un conto in sospeso con lui: perendo, si era fatto giurare dal fratello che avrebbe restituito Placidia ad Onorio, e di fare di tutto affinché si giungesse alla riconciliazione tra Visigoti e Romani.
martedì 3 marzo 2020
EDPUZZLE sull'Editto di Caracalla
Se non avete ancora fatto il riassunto limitatevi a rispondere alle domande incorporate in questo video:
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INVASORI o PROFUGHI? EDPUZZLE sulla Battaglia di Adrianopoli
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lunedì 27 gennaio 2020
Giornata della Memoria 2020: Liliana Segre e il ricordo di Albert Richter.
Storia e memoria raramente vanno d'accordo. Il giorno della memoria serve a noi tutti per non dimenticare quello che fu il punto più basso raggiunto dall’uomo contro l’umanità e trasformare in studio e, quindi, in storiografia storie che potrebbero essere raccontate in modo diverso.
Preziosa è la testimonianza di Liliana Segre e di quanto come lei hanno vissuto in prima persona la tragedia delle persecuzioni INTERVISTA A CHE TEMPO CHE FA DEL 26 GENNAIO 2020
Preziosa è anche la storia di Albert Richter, un uomo di sport come tanti, ma che come pochi ebbe il coraggio di ribellarsi allo scempio: e pagò con la propria vita. La sua vicenda era stata raccontata come il suicidio di un contrabbandiere. Dimostrazione di come la Memoria può essere costruita ed è compito degli storici e in certi casi, dei giornalisti, far emergere la verità.
Si chiamava Albert Richter, nacque a Colonia nel 1912. Per tutti lui era Teddy, cominciò presto a lavorare, costruiva angioletti di gesso e immagini religiose, e trascorreva il suo tempo libero al velodromo di Colonia, dove fu notato da Ernst Berliner, un ex campione a caccia di nuovi talenti: che però era ebreo, pertanto non godeva di buona reputazione al cospetto del regime, ma come allenatore aveva una buona fama.
Il ragazzino andava forte e cominciò presto a vincere: andò ad affinare la tecnica in Francia che era la patria mondiale della pista e nel 1932 vinse il Gran Prix de Paris: la Federazione tedesca, però, non lo mandò alle Olimpiadi di Los Angeles, dicendo di non avere i soldi per la trasferta. Di fatto però preferirono tenere a casa un atleta allenato da un preparatore ebreo “conclamato”.
A dire il vero anche Albert non risultava proprio un nazista ideale: il saluto a mano tesa non lo faceva, non portava la divisa con la croce uncinata, aveva l’aquila ricamata sulla maglia ed era l’unico della squadra che aveva questo tipo di atteggiamento. Ma vinceva: come a Roma, quando trionfò nel Mondiale per dilettanti su pista.
L’avversione per il regime di Richter non piacque ai capi nazisti: vincere senza fare il saluto nazista era considerato quasi un oltraggio. L’atteggiamento del corridore era visto come un esempio da non imitare.
L’inizio della Seconda guerra mondiale segnò il destino di Albert Richter: perché si rifiutò di arruolarsi e combattere. Perché non voleva sparare agli amici francesi. Siccome viaggiava molto nel mondo, per le corse in pista, il regime gli chiese di diventare una spia, ma rifiutò anche quella proposta.
L’inizio della Seconda guerra mondiale segnò il destino di Albert Richter: perché si rifiutò di arruolarsi e combattere. Perché non voleva sparare agli amici francesi. Siccome viaggiava molto nel mondo, per le corse in pista, il regime gli chiese di diventare una spia, ma rifiutò anche quella proposta.
Il 31 dicembre del 1939 i giornali del regime nazista pubblicarono una notizia: “Intercettato un contrabbandiere che nascondeva nella bicicletta 13.000 marchi di provenienza furtiva: lui, per la vergogna, si toglie la vita impiccandosi”
La verità però era un’altra: fu la polizia tedesca a ucciderlo. Il denaro non era rubato, ma erano i risparmi degli amici ebrei che quel giorno Albert tentava di salvare portandoli in Svizzera.
Al regime, però, non bastava averlo eliminato: il rischio era quello di farne un martire. Fu così che venne data una versione fasulla, cercando d’infangare la reputazione di Richter.
Sotto la guida di Joseph Goebbels (il ministro della propaganda), il regime decise di eliminare il nome di Richter da qualsiasi documento, targa o effige di sorta. L’allenatore ebreo era però riuscito a fuggire negli Stati Uniti: al termine del conflitto, fu quest’uomo a dire al mondo chi era stato Albert Richter. E mostrava una foto emblematica: con la squadra tedesca che faceva il saluto nazista, tutta la squadra, tranne lui, Albert Richter. Coerente e coraggioso fino alla fine.
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